Distimia: che problema!

Aspetti problematici nella diagnosi di distimia e Disturbo depressivo persistente.

Il Disturbo depressivo persistente viene indicato nel DSM-5 come “l’unione del disturbo depressivo maggiore cronico e del disturbo distimico definiti nel DSM-IV”.

Nell’articolo pubblicato nel numero di settembre 2020 della rivista scientifica The Lancet Psychiatry, la prof. Elisabeth Schramm del Department of Psychiatry and Psychotherapy, della Università of Freiburg, Germany insieme al suo gruppo di ricerca, evidenzia i seguenti aspetti:

  • Le controversie che circondano la definizione e la concettualizzazione del disturbo depressivo persistente nel corso degli anni (dal DSM-III al DSM-5 e ICD-11) non sono state completamente risolte.
  • Diversi termini sono usati per la definizione di depressione cronica nei diversi sistemi classificatori, ricerca e libri di testo, che pongono una sfida per la sintesi e le conoscenze della letteratura scientifica e per gli studi comparativi.
  • La cosiddetta “distimia pura” continua ad essere un costrutto controverso, con alcuni ricercatori che sostengono che dovrebbe essere distinta dalle forme più gravi della depressione cronica
  • La distimia pura può essere facilmente trascurata clinicamente a causa della sua presentazione più mite rispetto ad altre forme di depressione cronica e per la difficoltà di distinguerla da una personalità promorbosa. Tuttavia, a causa della sua presenza, gli effetti della distimia pura sul funzionamento del paziente e del decorso a lungo termine (ad es., rischio per episodi di depressione maggiore) possono essere sostanziali.
  • Generalmente, le depressioni croniche e non croniche frequentemente non si distinguono facilmente e le differenze tra di loro spesso non sono ricercate dai ricercatori e dai clinici, contribuendo alla eterogeneità della depressione come categoria diagnostica.
  • La valutazione del disturbo depressivo persistente deve essere approcciata in maniera diversa dalla depressione non cronica e le attuali scale di valutazione della depressione hanno dei limiti sostanziali nella valutazione del disturbo depressivo persistente.
  • La ricerca genetica e neurobiologica del disturbo depressivo persistente è rimata indietro rispetto alla ricerca sul disturbo depressivo maggiore, mentre dovrebbe avere la priorità.
  • La psicoterapia è meno efficace per il disturbo depressivo persistente rispetto al disturbo depressivo maggiore, forse a causa del trattamento ritardato, di fattori specifici che complicano il trattamento, alla bassa motivazione, a fattori specifici che complicano il trattamento, per gli approcci modulari che accomodano la sua natura multisfaccettata.
  • La psicoterapia per la distimia pura può essere meno efficace della farmacoterapia. Tuttavia. Gli studi attuali sono di bassa qualità, di breve durata e non usano misurazioni delle psicoterapie specifiche per la depressione cronica.  Quindi, queste terapie dovrebbero avere una priorità per la ricerca.
  • Il maggiore obiettivo sulla qualità della vita associata alla salute e agli effetti del trattamento a lungo termine è necessario per i pazienti con disturbo depressivo persistente.
  • Modelli che concettualizzano la depressione lungo le dimensioni di gravità e il decorso longitudinale sono degni di considerazione ed esplorazione e sono necessari approcci più informatici nella classificazione dei disturbi depressivi rispetto a quelli attualmente disponibili.
Criteri diagnostici del DSM-5

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