Gesti e significato
Esistono linguaggi interamente basati sui gesti delle mani – come le lingue di segni usate dai sordomuti, a lungo considerate lingue minori, e di cui il linguista americano William Stokoe ha mostrato invece la completezza -, che quindi fanno un uso simbolico dei gesti. Non tutti i gesti che facciamo sono espressamente simbolici. Il più delle volte gesticoliamo durante il discorso, senza nemmeno badare al movimento delle nostre mani. Sono questi i gesti illustratori, che cioè servono ad illustrare, sottolineare, rafforzare quello che stiamo dicendo.
Vi sono gesti di automanipolazione, con i quali trasmettiamo involontariamente delle informazioni riguardanti la relazione. Questi gesti possono esprimere interesse o rifiuto. Sono segni di interesse diversi gesti che riguardano le bocca come mordicchiarsi le labbra o una penna oppure lo spostamento di oggetti verso se stessi. L’accarezzarsi i capelli o la stimolazione del padiglione auricolare svelano, invece, un interesse anche affettivo o sessuale. Sono gesti di rifiuto lo sfregamento del naso, l’atto di spolverarsi l’abito e l’allontanamento degli oggetti. La tensione è invece espressa dal gesto di grattarsi, il più delle volte nella zona del naso. Interessante lo studio di Robert Krauss e Ezequiel Morsella della Columbia University di New York,in cui è stato dimostrato che parlare fluentemente, in modo colorito, avere la battuta pronta è legato all’espressività e alla quantità dei gesti che facciamo durante il dialogo. Si suppone da tempo che il linguaggio abbia avuto origine dai gesti e le osservazioni sull’acquisizione della parola sembra avallare questa ipotesi; solo in tempi recenti ci si è accorti che l’espressione verbale ha tutt’altro che soppiantato i gesti e che proprio questi ultimi sono parte integrante della facoltà di parlare con proprietà e scorrevolezza. Una delle prime osservazioni al riguardo la si deve allo psicologo Bernard Rimé dell’università di Louvain in Belgio che ha notato come quando nel dire qualcosa si gesticoli, il movimento anticipa sempre la parola.
Un indagine in cui era stato impedito ai partecipanti di muoversi hanno dimostrato come l’eloquio diventi più povero, più “insipido”, l’articolazione delle parole appaia più stentata e aumentino gli errori di pronuncia. Sempre nella stessa ricerca è stato messo in luce che numero e ostentazione nei gesti cambiano in relazione all’argomento di conversazione: sono minori quando si ci riferisce a un concetto astratto; per contro, sono più vivaci ed espressivi mentre si descrivono scene, azioni o oggetti concreti. Inoltre, se si devono illustrare gli aspetti spaziali di qualcosa e si è impossibilitati o inibiti ad usare dei gesti, il discorso risulta più impreciso e meno particolareggiato. Interessante la tesi elaborata dall’equipe di neurologi dell’università cattolica di Roma, capitanata da Gianotti: sulla base di osservazioni su individui che avevano subito danni cerebrali, questi studiosi ritengono verosimile che quando apprendiamo il significato di un oggetto, lo archiviamo nella memoria assieme alle azioni e alle contrazioni muscolari che compiamo usandoli o che eseguiamo per comprenderne il funzionamento. Così, quando ci troviamo a richiamare a mente il suo nome, recuperiamo in realtà l’intero complesso di informazioni ad esso legate. In altre parole, si attivano non solo l’area linguistica del cervello, ma anche quella motoria e premotoria dove immagazziniamo le sequenze di azioni fra loro coordinate.
I ricercatori americani Friesen e Sorenson (1972) studiarono e osservarono le mani di uomini di cinque culture e di cinque continenti diversi e giunsero alla conclusione che essi condividevano, nonostante le differenze culturali, gli stessi gesti di base, la stessa mimica. Esistono anche mimiche che appartengono solo ad alcuni popoli. Una molto singolare è stata studiata da Eibl-Eiblesfeldt presso gli Eipo della Nuova Guinea, che quando provano una emozione fortemente piacevole si coprono il capo con entrambe le mani, come se si trovassero in pericolo. La mimica è stata interpretata piuttosto facilmente da Eibl-Eibesfeldt: quando una cosa suscita il loro entusiasmo, gli Eipo dicono che «fa paura»; di conseguenza esprimono l’emozione con la reazione che si potrebbe avere di fronte a qualcosa di realmente pericoloso. (È il caso di notare che il riferimento alla paura di fronte a situazioni emozionanti si trova anche da noi nel linguaggio giovanile, anche se non accompagnata da una mimica corrispondente. «fa paura», «è da paura» sono espressioni correnti per indicare qualcosa di sorprendente). Lostesso discorso vale per la gestualità, non tutti i gesti hanno significato e traduzione universale onde evitare spiacevoli”incidenti diplomatici”, è forse il caso di capirci….