Intervista a Marcello Nardini
Estratto da “La vita chiusa. Storie del Villaggio Manicomiale di Siena”
(Documentario del 2007. Regia di A. Bartoli e S. Folchi)
Adesso i manicomi sono chiusi… però bisogna avere una loro memoria storica. E perché altrimenti li rifacciamo. Il sogno dell’uomo è quello di non essere malato. Il sogno è quello di separare il malato, di metterlo in un luogo altro per non essere infettato! È una visione “fitobiologica” della medicina. Non si condivide nulla con la malattia. Io voglio essere sterilizzato dalla malattia, ho paura di toccare e farmi toccare. La malattia mentale è così enigmatica, sfuggevole, che non si fotografa…non ci si può fare i raggi, che lì si vede tutto! Mette il terrore, quindi…la gente se ne vuol liberare.
Avevo avuto l’impressione di un mondo…io lo chiamavo la corte dei miracoli, così mi è venuta questa immagine…la corte dei miracoli …dove queste persone vagolavano come anime perse in un mondo totalmente astratto. E quindi ho avuto l’idea di un mondo altro, un mondo che aveva perso la connessione con la realtà, con l’esterno in cui io non mi riconoscevo come operatore.
Tutto sommato io credo che…personalmente questa è una mia visione, che il manicomio, nella gran maggioranza, ad un certo punto, ha rinunciato alle possibilità di cura. Ha rinunciato all’idea che il paziente psichiatrico, dopo periodi anche lunghi di permanenza con la cura, potesse essere riabilitato, abilitato ad una vita pubblica di cittadino come tutti gli altri al pari di tutte le patologie…insomma! Anche quelle più devastanti in qualche modo.