La genovese

La genovese” è un altro faro della cucina tradizionale napoletana, un vero e proprio ragù di cipolla, alimento che non a tutti può piacere. Ma il profumo che sale dalla pentola dove si stufano le cipolle rimane qualcosa di indimenticabile, e non fa niente che dopo aver cucinato tutte queste cipolle, per qualche giorno rimane l’odore nelle nostre case.800px-Bayeux_Tapestry_scene43_banquet

Anche in questo caso alle spalle c’è una lunga storia e varie leggende. Le prime notizie di un piatto simile alla genovese risalgono addirittura al 1285, quando fu pubblicato il “Liber de coquina”, che è un libro di cucina napoletana, scritto da anonimo, in latino volgare. Tale libro era dedicato a Carlo II d’Angiò, trovato alla fine degli anni Settanta nell’Archivio Nazionale di Parigi. La ricetta 66 cita “De Tria Ianuensis” (“Della tria genovese”). A quel tempo col termine tria si indicava la pasta, ed il sugo citato nella ricetta, conteneva carne e cipolla. Tale pietanza sembra molto pesante e poco raffinata rispetto alla genovese moderna.

Ma perché “genovese”? Qui le interpretazioni sono almeno tre. La prima vede protagonisti i marinai della repubblica marinara di Genova che stazionavano nel porto di Napoli prima di ripartire per l’oriente. Qui preparavano una carne (detta “U’ tuccu”), che veniva condita con le cipolle. Vicino al porto di Napoli, c’era una Via detta proprio Dei Genovesi.

Molte navi della Repubblica Marinara di Genova si fermavano a Napoli, perché si era creato un rapporto molto stretto tra la Repubblica Marinara di Amalfi e quella di Genova.

Un’altra ipotesi, forse un po’ banale, va cercata nel mondo degli “scagnanomi” (soprannomi, e si rifà ad un oste napoletano, vissuto nel XV secolo che avrebbe inventato questo piatto, e soprannominato “O’ Genovese” (per la sua tirchieria?)

L’ultima ipotesi, quella che riscuote meno successo, fa riferimento ad un cuoco proveniente dalla città svizzera di Ginevra (Geneve). Tale “monzù” dal francese “monsieur”, così venivano chiamati a Napoli, i cuochi che provenivano da fuori introdusse questa variante della “soupe d’oignons” (zuppa di cipolle) a Corte o in qualche cucina aristocratica. Ma la cucina svizzera ha le capacità per partorire una tale raffinatezza? Ma non si ha notizia di una cucina svizzera capace di partorire una tale raffinatezza!

Storicamente la Genovese viene citata da Ippolito Cavalcanti (Afragola, 1787 – Napoli, 1859), Duca di Buonvicino, nella seconda edizione del suo trattato “La cucina teorica e pratica” del 1839. Nell’appendice di questo testo, che prende il nome di “Cusina casarinola co la lengua napolitana”, presenta la tipica cucina casereccia del popolo con la descrizione di alcune ricette che diventeranno molto diffuse nella moderna cucina italiana, come la prima descrizione di una pasta (vermicelli) condita con il pomodoro.

Ippolito è un discendente di Guido Cavalcanti, amico di Dante Alighieri.

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