La mania e la depressione: due entita clinico-psicopatologiche e due mondi esperenziali a confronto
- Marcello Nardini
- Marcello Nardini
- Marzo 4, 1993
Marcello Nardini, Immacolata d’Errico, Stylianos Nicolau
Estratto da: Rassegna di Studi Psichiatrici. Fondata da Antonio D’Ormea. Direttore: L.D’Argenio. Vol.LXXXII Fasc.n.1 Anno 1993
La sindrome maniacale è solo apparentemente un quadro clinico e psicopatologico chiaro e definito. Per la estrema mutevolezza delle sue manifestazioni semeiologiche è in primis moIto probabilmente sottostimata in termini epidemiologici, ed inoltre presenta rilevanti problemi di diagnostica differenziale con disturbi dello spettro schizofrenico ed anche con disturbi mentali organici. Ed ancora, una caratteristica clinica in passato ritenuta rara e da taluni impossibile ma sempre più suffragata da osservazioni sperimentali, la possibilità di un andamento protratto e prolungato fino alla cronicità, può portare ad un suo non tempestivo riconoscimento con grave pregiudizio e limitazione delle possibilità terapeutiche; nei casi protratti e prolungati, ed ancor più in quelli ad evoluzione cronica, possono essere poste diagnosi pertinenti ad altri ambiti nosografici, i.e. disturbi di personalità, sindromi paranoicali e talora parafreniche.
Da queste brevi considerazioni, si può facilmente derivare ed intuire il ruolo centrale della mania nella comprensione, conoscenza e terapia dei disturbi dello spettro affettivo. Riportiamo il pensiero, a tal proposito, di Cassano e coll.: “… si è sviluppata una vasta letteratura volta ad arricchire lo stereotipo clinico della mania che tendeva a limitare il disturbo all’eccitamento euforico, gioioso, associato o meno a contenuti deliranti olotimici. Sono state così delineate forme cliniche meno tipiche, peraltro già descritte nella letteratura classica, con umore disforico, irritabile o con sintomi psicotici incongrui, deliri, allucinazioni, incoerenza ed allentamento dei nessi associativi, bizzarrie comportamentali, catatonia, stupore. La migliore definizione…ha comportato una revisione dei confini nosografici verso le forme appartenenti allo spettro schizofrenico”.
Culturalmente e storicamente connessa con la depressione a partire dalla forma prototipale descritta da Kraepelin, la psicosi maniaco-depressiva a fenomenica clinica trifasica, la mania, in quanto quadro clinico e psicopatologico definito e distinto, rischia di perdere il rapporto con l’alterazione dell’umore, per avvicinarsi e confondersi – nei casi estremi e più gravi – con le schizofrenie, dalla cui distinzione aveva trovato la sua identità clinica e psicopatologica. In termini psicopatologici, questo problema si pone a partire dalla frequente associazione (dal 45 al 75% dei casi) di alterazioni del contenuto del pensiero, che possono rappresentare il trigger per una diagnosi di schizofrenia o sindrome schizofreniforme e diagnosi a queste assimilate’. Considerazioni analoghe si possono fare per la depressione, suo quadro contro-polare.
Quello che ci ha colpito e ci ha spinto a proporre queste considerazioni psicopatologiche è, nell’essenza, la evidente indeterminatezza della sindrome maniacale in termini clinici, nosografici e psicopato(bio)logici. Il nostro tentativo sarà quello di ricollegare clinica, psicopatologia e nosografia attraverso lo strumento conoscitivo che si riconduce all’analisi antropofenomenologica: riaprire, in altri termini, un problema di “comprensione” che a nostro parere non ha ancora concluso il suo cammino. Siamo convinti infatti che la mania (e la depressione) non possa essere clinicamente “compresa” se non all’interno dell’esperienza del suo mondo esistenziale.
Jaspers, nella sua Psicopatologia Generale, scrive: “La mania è caratterizzata da una immotivata e traboccante allegria ed euforia primaria, da una modificazione del corso psichico nel senso della fuga delle idee e dell’aumento delle capacità associative. La gioia di vivere stimola tutte le pulsioni istintive: la sessualità aumenta, così come l’impulso a muoversi, a parlare e ad avere un’attività, si elevano dal semplice comportamento vivace fino agli stati di eccitamento. Il corso della vita psichica a tipo fuga delle idee fa iniziare vivacemente ogni attività che poi si interrompe e cambia rapidamente; ogni stimolo e ogni nuova possibilità distraggono il malato. La massa delle associazioni che egli si trova a disposizione e che si presentano spontaneamente senza che egli le cerchi lo rendono arguto e spiritoso ma contemporaneamente superficiale e confuso. Le sue capacità gli sembrano¹ superiori. Nel suo ottimismo costante, le cose, il mondo, l’avvenire appaiono al malato nella luce più rosea. Tutto è splendido, tutto raggiunge la massima felicità possibile. Le sue rappresentazioni e i suoi pensieri sono comprensibili sotto questo punto di vista. Non è assolutamente accessibile alle altre rappresentazioni mentali”.
¹ A parer nostro questo problema nasce dall’interpretazione psicopatologica del delirio in termini di “psicopatologia comprensiva”, che prevede un delirio primario e secondario(deliroide):la distinzione si operava sulla base della possibilità a “comprendere” l’origine del delirio nelle sue caratteristiche formali e di contenuto, a partire da un disturbo della affettività (deliroide affettivo) o da altre condizioni quali condizioni allucinatorie, di personalità e particolari situazioni ed avvenimenti esterni (vedi: sviluppi di personalità secondo Kretschmer e deliroidi di riferimento; cfr. A. Ballerini e M. Rossi Monti,1992);a questo proposito ci sembra più aderente alla realtà psicopatologica l’interpretazione data da Bleuler secondo cui tutti i deliri sono secondari ad un nucleo affettivo evidente (delirio olotimico o sintonico) o non immediatamente evidente (delirio catatimico).
Pinel, nel suo Trattamento medico-filosofico sull’alienazione mentale, così descrive la mania: “L’eccitazione nervosa che quasi sempre li contraddistingue, non si rivela solamente nel corpo, attraverso un eccesso di forza muscolare e una agitazione continua dell’insensato, ma anche nel morale, attraverso un sentimento profondo di superiorità delle proprie forze, e attraverso la ferma convinzione che nulla possa resistere alla sua suprema volontà. Per questo motivo egli possiede una intrepida audacia, che lo spinge a dare libero sfogo ai suoi stravaganti capricci e, in caso di repressione, a sostenere una vera e propria lotta con il custode e gli addetti alla sorveglianza a meno che essi non vengono in forza e che non se ne raccolga un gran numero; c’è bisogno, per contenerlo, di un imponente apparato che possa agire fortemente sulla sua immaginazione e convincerlo che ogni resistenza sarà vana”.
Goodwin e Jamison nel loro trattato, Manic-Depressive IIness, così rappresentano la mania: “Gli stati maniacali sono tipicamente caratterizzati da umore elevato, logorrea e pensiero accelerato, livelli di attività fisica e mentale vivaci e aumentata energia con un corrispondente decremento del bisogno di sonno, irritabilità, aumento della sensibilità percettiva, paranoia, aumentata sessualità ed impulsività. Se l’episodio si intensifica vengono compromessi i rapporti familiari e sociali”.
Nella mania, il soggetto diventa grande ed il mondo piccolo; può dominare e guidare il mondo che perde la sua potenza coartante ed inibente. L’ottimismo gioioso diventa la spinta, unica ad agire; l’azione si attua nella momentaneità dell’adesso e non si dispiega nel tempo; non ha progettualità; il suo agire è improvviso, rapido, istantaneo fino ad essere caotico e confuso, privo di un filo conduttore lungo il quale svilupparsi per la realizzazione del suo progetto intenzionale e pulsionale. Il mondo del reale perde la sua concretezza, diventa privo di senso e di significato; l’incontro con il mondo non ha il senso dell’esistere. Il benessere personale non è legato all’esistenza, esiste indipendentemente; non si crea l’intersoggettività e non si costituisce un mondo comune. Tutto rimane nello spazio dell’astratto, si attua un allontanamento estremo tra il soggetto ed il mondo; lo spazio (mentale) che li separa è talmente piccolo da essere immenso in quanto non definito e non definibile; l’onnipotenza diventa l’elemento costitutivo dell’esistenza, che in quanto tale si giustifica ed assume senso e significato.
La descrizione della mania è stabile nel tempo, da Pinel a Goodwin; il mondo maniacale è sempre rientrato nello spazio della incomprensibilità e non solo nella psicologia comprensiva di Jaspers.
Nel tentativo di rendere comprensibile il mondo maniacale proponiamo due autori, Karl Leonhard e Ludwig Binswanger, estremamente diversi per metodologia di lavoro e formazione culturale ma che giungono ad una stessa conclusione: mania e depressione non sono antinomiche ma si giustificano di per se stesse come diverse modalità di esternazione di un unico difetto strutturale.
L’originalità del lavoro di Karl Leonhard nasce dalla sua capacità di osservare, quasi ritrarre il paziente, il suo comportamento e di discriminare, attraverso il segno clinico, differenti fenomeni psicopatologici. Per Leonhard, infatti, solo lo studio delle alterazioni psichiche con tutte le loro sfumature fenomeniche può condurre alla diagnosi e alla corretta terapia. Tale posizione dissente dalla tendenza sorta in seguito alle ricerche di Kraepelin, che voleva le psicosi endogene suddivise in schizofrenia (a prognosi fondamentalmente infausta) e psicosi maniaco-depressiva (a prognosi fausta). Kraepelin ne aveva illustrato i tratti con straordinaria linearità e chiarezza², ma – dice Leonhard -“ben presto…si dimenticò la lunga serie di fini osservazioni che Kraepelin aveva compiuto per definire la sintomatologia e la sistematica delle psicosi endogene, conservando solamente la dicotomia che…risulta grossolana”. Di conseguenza venne meno, secondo Leonhard, quella curiosità scientifica che stimola lo psichiatra clinico ad interessarsi delle singole forme psicopatologiche che rendono “la psichiatria…scienza viva”. Potremmo aggiungere che Leonhard con le sue precise e dettagliate osservazioni cliniche sulla base delle quali costruisce la sua nosografia, recupera alla diagnosi psichiatrica l’aspetto della osservazione trasversale (quella tipica della clinica, appunto), che la perfetta e razionale sistematizzazione di Kraepelin operata a partire dalla longitudinalità (e quindi dalla prognosi), aveva collocato in posizione marginale. Leonhard riscomponendo Kraepelin e la sua nosografia, riesce – riteniamo – a ricomporre alla mente e agli occhi dello psichiatra la complessa realtà della malattia mentale. Rileggendo Leonhard si ha l’impressione di avere di fronte il soggetto² con la sua malattia; in Kraepelin quello che dominava era la malattia al cui interno il soggetto perdeva – o rischiava di perdere nei suoi epigoni – il senso del suo esistere. In questo riteniamo Leonhard attuale e moderno; per questo ha stimolato il nostro interesse a rileggerlo e a riproporlo. In Leonhard ci ha colpito la sua costante tendenza a descrivere e classificare tipologicamente la malattia mentale sulla base dell’apparire e dimostrarsi dei sintomi, trovando l’ordinatore – specialmente nel campo dei disturbi affettivi – all’interno di coordinate spazio-temporali (ad es.: bipolari versus monopolari) che rimandano nel nostro immaginario a meccanismi specifici di funzionamento della mente, a modalità specifiche di esistenza e quindi di manifestarsi (la malattia mentale è l’epifenomeno dell’essere che è nel mondo e con il mondo), ad un superamento delle dicotomie oppositive di endogeno/esogeno, che – riteniamo – non hanno un valore conoscitivo primario.
² Ci piace riportare un esempio a proposito della descrizione del disturbo dell’eloquio del maniaco: «…i movimenti espressivi dei pazienti di solito sono vivaci ed appassionati. Parlano molto, ad alta voce, in fretta, con grande abbondanza di parole, ampollosamente, saltando di palo in frasca, con locuzioni ricercate, altisonanti, con un’accentuazione particolare e servendosi alle volte, quando parlano di sé, della terza persona per mettersi in luce..: ogni tanto ci sono delle violente ingiurie e delle bestemmie…”.
Su queste premesse, il rimando a Binswanger e alla antropofenomenologia ci è sembrato conseguenziale e coerente alle nostre modalità di rapportarsi, per conoscerla e comprenderla, alla malattia mentale e alla sua esistenza nel mondo.
La nosografia leonhardiana effettua una distinzione, diagnosticamente rilevante, tra psicosi affettiva bipolare e psicosi affettiva monopolare (sono psicosi fasiche), tra psicosi cicloide e psicosi schizofreniche (psicosi sistematiche e non sistematiche, ma mai fasiche).
In particolare, la nostra attenzione è stata attratta dalle sue ricerche nel campo dell’affettività. Leonhard sostiene che possono esistere stati psicopatologici che si esprimono con una alternanza della tonalità affettiva, oppure uno stato morboso, fasico, che si manifesta con euforia o depressione, ma che non presenta mai sintomi peculiari del polo opposto, né all’intero dello sviluppo del singolo episodio né in quello dei successivi episodi. Se così fosse (lo stato euforico o depressivo modificato anche transitoriamente verso la tonalità opposta, spontaneamente o in risposta ad eventi esterni), dovremmo pensare ad una diagnosi all’interno delle forme “bipolari” (cfr. la concettualizzazione dello “spettro bipolare”).
Si realizza pertanto una prima, generale, distinzione fra forme bipolari e forme monopolari. Le forme bipolari sono intrinsecamente varie come sintomatologia; non solo compare oscillazione del tono dell’umore tra i due poli ma anche si osservano sintomi dissimili fra loro in ogni singola fase: sono, infatti, forme estremamente polimorfe. Durante il decorso della malattia sono possibili molti punti di contatto con altri quadri clinici tanto che, ribadisce Leonhard, è possibile assistere ad un vero e proprio cambiamento di manifestazioni psicopatologiche. Tutt’altro le psicosi monopolari, in cui gli stessi motivi tematici ricorrono nel tempo, senza che manifestino alcuna tendenza a deviare verso il polo opposto: sono forme pure.
Leonhard colloca la mania nell’ambito delle psicosi fasiche che comprendono:
- la psicosi maniaco-depressiva;
- la melanconia pura e la mania pura;
- le depressioni pure e le euforie pure.
Tra le depressioni pure si annoverano: depressione agitata; depressione ipocondriaca; depressione d’autoaccusa; depressione di rapporto; depressione fredda. Le forme di euforia pura sono: euforia improduttiva; euforia ipocondriaca; euforia esaltata; euforia confabulatoria; euforia fredda.
Il complesso sintomatologico della mania si incontra sia nella psicosi, bipolare, maniaco-depressiva, sia nella mania pura che nell’euforia pura. Nella mania pura sono elementi psicopatologici necessari. Nei soggetti con psicosi bipolare possono non essere presenti sintomi ritenuti nodali; la mania pura differisce inoltre dalla euforia pura per il coinvolgimento globale della sfera affettiva, dell’ideazione e della volontà; nell’euforia pura invece, è solo il settore della timia ad essere colpito, e spesso non nella sua interezza.
Un analogo significato acquista la triade psicosi maniaco-depressiva/melanconia/depressione.
Kleist, maestro di Leonhard, riteneva si trattasse di “due malattie affini, con una certa tendenza ad associarsi”. Leonhard invece, parla di forme contropolari, espressione di un medesimo nucleo psichico. Infatti dice: “la mania pura è esattamente il contrario della melanconia: in questa vi è la depressione del tono dell’umore mentre nella mania l’umore è deviato nel senso dell’esaltazione… come la mania pura si contrappone alla melanconia pura, ad ogni forma di depressione pura dovrebbe corrispondere una forma di euforia pura”, cioè ad ogni forma ne corrisponde un’altra di polarità opposta.
Tutto ciò può essere osservato a partire dalla perfetta rispondenza che le varie forme trovano nella nosografia leonhardiana.
Nella euforia improduttiva sembra coinvolta “quella parte dell’affettività strettamente connessa con il corpo”; il paziente prova un sentimento di felicità senza alcun contenuto ideativo, una sensazione somatica di benessere dalla tonalità vitale. La euforia improduttiva è l’espressione contropolare della depressione agitata, anche in questa infatti è presente un caratteristico timbro affettivo vitale, senza contenuto: le idee depressive sono prive di una valida motivazione, tanto che il paziente spesso la cerca per ricavarne un aspetto di concretezza, e cosi accade nell’euforia improduttiva.
Nella euforia ipocondriaca, forma peraltro molto rara, sono le cenestopatie a dimostrare che in questa forma di euforia è compromesso lo stesso strato affettivo che è colpito nella depressione ipocondriaca.
Nella euforia esaltata, asserisce Leonhard, “come nella psicosi contropolare, cioè nella depressione di autoaccusa, dove la depressione dell’umore trae sempre nuovi temi dalle idee depressive,…l’umore si eleva rapidamente in parallelo con le idee euforiche”; infatti tanto più sono frequenti le idee di idegnità nella depressione di autoaccusa, tanto più sono illimitate le idee di grandezza nella euforia esaltata. Questo denota come sia compromesso quel campo della sfera timica al quale non sono connessi temi del corpo ma inerenti allo spirito.
Nella euforia confabulatoria l’esaltazione dell’umore è associata ad una spiccata attività fantastica. È proprio nell’attività confabulatoria di questi malati che ci spieghiamo la depressione di rapporto, sua forma contropolare “in cui la strutturazione ideativa, a tematica depressiva, si realizza con l’elaborazione di rapporti abnormi, e ciò è indice di una certa attività intellettiva”; come il depresso tende ad arrovellarsi sugli avvenimenti, così l’euforico tende ad invaderli, manipolandoli fantasticamente.
Per concludere, riportiamo Leonhard, “se ad ogni forma di depressione pura corrisponde una forma di euforia, come si è finora verificato puntualmente, ne consegue che anche la depressione fredda deve avere la sua forma contropolare, cioè la euforia fredda”.
In questa forma, estremamente rara, vi è, come nella analoga depressiva, un affievolimento dei sentimenti e della iniziativa, di cui il malato se ne rende conto; il tutto si associa ad un umore euforico.
Binswanger, nei suoi studi tesi a fornire una metodologia per la comprensione della psicosi maniaco-depressiva, si pone come obiettivo principale, la determinazione del “difetto nell’accadere del Dasein”. Giunge alla conclusione che tale “difetto” ne è l’elemento costitutivo.
Il lavoro di Binswanger deriva da alcuni concetti fondamentali della fenomenologia trascendentale di Husserl.
La nozione del tempo è il tema centrale della sua analisi: così operando arriva a dare una dettagliata descrizione della particolare modalità di esistenza del paziente maniacale.
Una tale metodologia ha come impegno continuo la comprensione delle varie modalità della temporalizzazione, ricercando cioè i momenti difettosi della costruzione intenzionale dell’oggettività temporale, “momenti costitutivi strutturali o direttive intenzionali costituenti l’oggettività temporale”. Per affrontare tale compito sono necessari i concetti husserliani di intenzionalità (la natura intenzionale della coscienza temporale) e di protentio, retentio e praesentatio (elementi pulsionali che nel loro rapporto con gli oggetti diventano i vissuti temporali futuro, passato, presente). Bisogna quindi capire la trama strutturale dei due mondi, maniacale e depressivo, cioè la struttura temporale soggettiva: i fili di tale trama subiscono un allentamento o un reintreccio nel depresso ed una vera lacerazione nel maniaco (difetto strutturale). La continuità della temporalizzazione viene alterata per un difetto dell’intenzionalità sottostante o costituente l’oggettività temporale (oggetti temporali: futuro, passato, presente). Quando il rapporto di confidenza, di continuità, di unità tra le tre dimensioni intenzionali, protentio – retentio, praesentatio, viene incrinato ne consegue una oggettività temporale alternata.
Anche in Minkowski il tema tempo viene ad assumere un grande valore e significato pur partendo da un’impostazione metodologica diversa; non si parla cioè di momenti strutturali costitutivi intenzionali ma si parte dal concetto bergsoniano dello slancio vitale (elan vital) che sarebbe il vero fondamento della vita in rapporto al futuro. L’incrinatura di tale fondamento comporterebbe lo scatenare delle diverse tappe della “disgregazione della personalità umana”. La nozione di tempo del malato è modificata in modo tale che il futuro per lui è sbarrato, gli manca la “protensione verso il futuro”.
A differenza di quello che succede nel depresso dove esistono i contenuti e pensieri tipici cui riferirsi per eseguire un’analisi del suo Dasein, nel maniaco è necessario far riferimento a momenti difettosi che fanno parte dell’area dell’essere con (Mitsein).
Va, quindi, affrontato il problema dell’intersoggettività e del mondo comune e quindi del fenomeno dell’appresentazione nella costituzione dell’alter ego e dell’ego. L’appresentazione non è una vera percezione. Come dice Husserl,”dalla presentazione o percezione di un corpo reale si giunge alla appercezione di questo o di qui alla sua appresentazione come alter ego”.
Nella mania esiste un difetto della appresentazione, della capacità di creare o partecipare in un mondo comune. Questo non vuol dire che il maniaco viva in un mondo suo diverso dal nostro ma vive, come sottolinea Husserl, in “puri presenti isolati” e questo esclude la possibilità per una considerazione vera dell’altro. Esiste cioè, una carenza della realtà alter egoica riconducibile ad una carenza del polo egoico. L’altro non è considerato un alter ego ma un oggetto da usare o consumare (il maniaco invade l’ambiente con la sua logorrea, suoi desideri e ordini, il suo intromettersi in ogni cosa).
Secondo Callieri questo è la causa che porta ad un livellamento dei significati e dei valori del mondo (vanificazione dei significati). Annullando l’altro ed il mondo non ci sono più orizzonti e prospettive, tutto è a portata di mano, il tempo diventa breve, lo spazio ampio e indefinito; il ritmo dell’esperienza vissuta è sbrigativo e veloce, tutto il mondo è fuggevole, leggero e roseo, mobile ed attivo. Biografia, intelletto e socializzazione sono privi di una continuità storica.
L’incapacità del maniaco a comprendere l’essere dell’altro è dovuta al difetto dei momenti retentivi e protentivi, esiste una prevalenza dei puri presenti.
Mentre nella persona normale le appresentazioni prevalgono sulle presenze attuali, nel maniaco le presenze attuali hanno il sopravvento. La tendenza alla momentaneità ed accelerazione psicomotoria porta il maniaco a correre nel tempo e nello spazio, il mondo rimane indietro (il depresso invece, resta indietro al mondo); ciò rende impossibile un vero incontro con il mondo; dietro al mondo maniacale vi è monotonia, angoscia depressiva.
Per concludere, secondo Binswanger, non esiste una vera antinomia fra mania e depressione ma solo una “differenza di costituzione temporale di questi due mondi”: si assiste ad una scomparsa delle pulsioni intenzionali protentio e retentio in quello maniacale e un diverso reintreccio in quello melanconico.
Dello stesso parere sembra essere K. Schneider quando scrive: “… la depressione ciclotimica e la mania stanno l’una di fronte all’altra, non come tipi ma come modi”.
Mania e depressione ci appaiono quindi come due modalità di esistenza, non come due entità psicopatologiche – separate – di malattia. Leonhard così descrive le sindromi fondamentali maniacali e melanconiche “.. l’una è costituita dall’euforia, che facilmente passa alla irritazione, dall’elevata coscienza di sé, dalla fuga delle idee, dalla logorrea, dall’affaccendamento; mentre l’altra si manifesta con depressione dell’umore, taedium vitae, sentimento di insufficienza, rallentamento del corso del pensiero, inibizione psicomotoria, difficoltà nel prendere decisioni, strutturazione dell’ideazione in senso depressivo”.
Nella melanconia, il soggetto diventa piccolo ed il mondo grande; e non esiste una interazione con il mondo; il melanconico non subisce più il mondo, sta nel mondo non con-vivendo la realtà esterna, onnipotentemente ed anergicamente la domina; ha conquistato la sua identità protettiva nell’apatia; ha rapporto con la vita (senza viverla) nell’esperienza di morte (non più sinonimo di vuoto e nulla, come nella depressione). Nell’apatia e nella inerzia trova – paradossalmente – la sua “forza ed energia”; si rapporta con il mondo e lo trasforma sulla base del suo essere attuale, vede il mondo a somiglianza di sé, non è influenzato dal mondo. L’essere vivo ma non vitale. Il depresso melanconico diventa, narcisisticamente, eterno. Il tempo viene fermato. La sofferenza si è eternizzata in una vita senza vitalità. Il suicidio è l’unica possibilità di recuperare il proprio progetto esistenziale, quello di non essere mai nato. Il suicidio nel melanconico assume il significato esistenziale di non più subire il tempo, ma determinarne la finitezza.
Mania e melanconia eternizzano il proprio essere (psicopatologico)nell’esperire il tempo eterno, statico che si svolge nelle due direzioni verso il nulla del prima (il melanconico) e del dopo (il maniacale); il melanconico ferma il tempo, il maniacale lo accelera, nel melanconico e nel maniacale non c’è però un prima e un dopo (umano), esiste solo il nulla, il non essere, il vuoto, la morte.
Melanconia e mania rappresentano una patologia del tempo personale, soggettivo, esperienza del tempo che passa; rottura del rapporto fra tempo oggettivo (dell’orologio) e tempo soggettivo; rottura del progetto esistenziale, frattura fra tempo biologico (compreso fra nascita e morte) e tempo individuale (vita e morte, essere e non essere, luce e buio).
Al di là della fenomenica clinica, mania e melanconia si ritrovano “congiunte” e “fuse” nelle forme contropolari di euforia fredda e depressione fredda, di euforia confabulatoria e di depressione di rapporto; forme contropolari in cui affetti e fantasia hanno perso ogni rapporto con la realtà. Nella mania e nella melanconia non vi è il ricordo inconscio (memoria) della nascita, origine del tempo umano (finito) e dello spazio (esistenza, vita). Nascita e morte – nella loro non – esistenza umana – si con-fondono nel tempo presente – maniacale e melanconico – non più vissuto ed esperito.
Mania e melanconia hanno il significato di esistenze mancate, interrotte; mania e melanconia hanno il significato, paradossale, di tentativo di ricostruire il filo del tempo, smarrito nel labirinto della vita; i comportamenti, accelerati ed inibiti, rappresentano le difese – di polarità opposta – dal vuoto interno vissuto come impotenza, sinonimo del non essere e della morte e della non nascita. “Lo spazio e il tempo sono presenti nei processi sensoriali. Non sono per se stessi oggetti primari, ma investono tutta la oggettività. … Nessuna sensazione, nessun oggetto sensibile, nessuna immagine ne è esente. Ogni cosa, nel mondo che ci si presenta, viene a noi nello spazio e nel tempo e noi la esperimentiamo esclusivamente in questi termini” (Jaspers, 1913)
Sul piano clinico, diventa più aderente alla realtà quanto previsto in termini nosografici da Leonhard sulla base dei seguenti criteri: 1) la fasicità,2) la polarità e 3) variabilità fenomenica. Il primo criterio fa distinguere le psicosi funzionali affettive da quelle schizofreniche sistematiche; il secondo, le distingue secondo la monopolarità, maniacale o depressiva, e la bipolarità, maniaco-depressiva; il terzo è elemento psicopatologico distintivo e caratterizzante fra forme bipolari (polimorfe) e monopolari (statiche, sempre uguali con scarsa o assente variabilità fenomenica nei successivi episodi).
Sembra di poter intravedere meccanismi di funzionamento della mente tipici della affettività, l’andamento fasico e la risposta maniacale o depressiva (la qual cosa si ritrova anche nelle psicosi cicloidi descritte da Kleist e da Leonhard) ed il viraggio possibile sotto stimolazione da depressione a mania e viceversa. Le forme monopolari sembrano collegate ad una struttura (psicobiologica) rigida e stabile sia sul piano della psicopatologia che della fenomenica; quelle bipolari sembrano collegate a strutture più dinamiche, con modalità di risposta più variegate e polimorfe ma sempre ritmate da cadenze e sequenze riconoscibili ed identificabili. Le forme monopolari appaiono più arcaiche, quelle bipolari più recenti, dalle prime – probabilmente – derivabili.
Ci sembra di poter concludere che la nosografia di Leonhard possa essere compresa alla luce delle ipotesi comprensive di Binswanger su mania e depressione. Le forme nosografiche di Leonhard potrebbero rappresentare le costituzioni temporali di due mondi, quello maniacale e quello depressivo; le forme bipolari il fallimento di questo tentativo, con successiva riorganizzazione all’interno di un tempo che è esclusivamente soggettivo. Il rapporto con il tempo oggettivo, il tempo degli altri ed il tempo biologico è rotto; questo rapporto non esiste né nelle forme bipolari né in quelle monopolari; né nella mania né nella melanconia. Tutte queste condizioni hanno il significato di allontanamento dal mondo, collocando l’esistenza in uno spazio ed in un tempo altro; questo allontanamento viene ottenuto attraverso uno sfasamento in avanti o indietro in rispetto al tempo oggettivo e al tempo biologico. Mai viene creato e costituito un tempo presente condiviso, sempre attimi che quando sono, non sono già più o sono già stati.
Nella mania e nella melanconia – nei grandi estremi – la costituzione dell’esistenza diventa atemporale (eterna, fuori da noi, onnipotente), non più scandita dai ritmi della vita, della relazione, dell’essere con e dell’essere in. L’esistenza nella mania e nella melanconia non assume senso e significato. Non esiste la memoria del proprio essere, non si costituisce l’esistenza personale, ma solo un esistere che è indipendentemente dal proprio essere³.
Maria è una donna di 40 anni, sposata, ha un figlio di 17 anni. Ha una psicosi maniaco-depressiva. Due anni fa ha avuto un episodio maniacale che è durato circa 4 mesi; ne è seguito un episodio depressivo con caratteristiche melanconiche; attualmente è in condizione di eutimia clinica ed assume sali di litio. È apprensiva; vive alla giornata; il ricordo della mania la illumina (d’immenso), quello della depressione la oscura (nell’infinito dell’universo, stellare). Attualmente non ha un progetto di vita (che vada oltre al presente), il suo futuro oscilla (come il pendolo) fra la mania e la depressione. Riempie il suo presente nell’apprensione per la salute ed il successo del figlio (che presenta attualmente sintomi di tipo ossessivo); non esiste altro che abbia un senso ed un significato nella sua vita; ma, clinicamente sta bene e sul piano terapeutico si dovrebbe progettare il futuro! Così racconta la sua esperienza maniacale: “allora stavo bene, anzi benissimo (gioisce); avevo pensieri e sentimenti che ora vedo fuori della realtà (si intristisce), ma che allora mi riempivano la vita. Credevo di essere nobile e di discendere da una dinastia di nobili; mi potevo permettere tutto, o quasi, e compravo, ordinavo; gli altri non capivano, io non spiegavo e mi irritavo, ma non importava, io sapevo di essere nobile. Ad un certo punto tutto è cominciato a cambiare, vedevo tutto diverso e buio, tutto si stringeva intorno a me e mi respingeva indietro, provavo delusione, soffrivo e perdevo la mia nobiltà. Mi sentivo stanca, spossata, non potevo fare più nulla (si ferma, anergica). Avevo per un attimo pensato di aver trovato la soluzione della mia vita, mi sentivo delusa, spossata, priva di speranza, soffrivo, ma non avevo questo sentimento, mi sentivo come morire”.
Era finita una illusione di vita, fantastica; la delusione, successiva, metteva in evidenza il profondo difetto strutturale (era il primo episodio melanconico, come l’episodio maniacale era il primo della sua vita).
³ Quando parliamo di melanconia, la nostra mente ritorna alle forme gravi e ed estreme, esemplificabili nella sindrome di Cotard; è stata definita come “melanconia ansiosa grave” nella sua originaria descrizione nel 1880 ed è caratterizzata dalla presenza di tematiche deliranti “di negazione” del proprio corpo o della propria anima, delle funzioni somatiche e psichiche, del ruolo sociale, fino alla negazione dell’esistenza personale e quindi del mondo esterno; talora vi è la negazione della possibilità di morire e porre fine alla sofferenza, accanto alla convinzione della non esistenza dei propri organi; ed ancora, il paziente diventa anche analgesico. Nella sindrome di Cotard assistiamo alla materializzazione psichiatrica della non esistenza della condizione di vita umana, all’interno dell’umano vivente! Gino è un uomo di 67 anni che ci racconta: “Improvvisamente mi sono sentito privo del mio corpo; il mio cervello si scrostava, andava a pezzi e si frantumava; lo vedevo e sentivo sparire (era la sensazione del morire). Provavo il terrore. Sentii la voce di mia madre (era morta da alcuni anni) e la vidi comparire; parlavo con lei e le parlavo; era li con me, non la sentivo estranea. Non ero morto, ma vivevo in un mondo di morti; pensavo veramente di essere là, ma sapevo di essere nel mio letto, disteso e nella mia camera”.Gino era giunto alla nostra osservazione per una sindrome delirante di riferimento con fenomeni allucinatori associati. Quello riportato era relativo ad una “crisi “- nascosta e mai raccontata prima – avvenuta circa 6 mesi prima della nostra osservazione, in occasione della morte del fratello. I deliri furono temporalmente successivi nella loro comparsa; riteniamo che siano anche psicopatologicamente derivati. La sindrome di Cotard ci ripropone i confini fra paranoia e depressione.
Maria nella mania aveva intuito e riscoperto la nobiltà della sua vita e le sue potenzialità, ma – per esperirle – era costretta a pensarsi e collocarsi in un tempo/spazio altro e legarle alla genealogia della razza nobile. La depressione successiva alla perdita assumeva in lei il significato di un ritorno ad una vita inanimata, la consapevolezza e l’accettazione di una sua impossibilità, cosmica e biologica, di essere diversa. Era impotente di fronte al tempo fisiologico e a quello biologico; era incapace di pensarsi viva all’interno di un tempo mentale (soggettivo e personale) e noetico. Il suo presente appariva, in quel momento, dominato e dipendente dal movimento circolare (folie circulaire) dell’accadere del tempo, dal mito dell’eterno ritorno, dalla coazione a ripetere. La sua esistenza attuale era legata al mantenimento dell’unione con il figlio: i rituali ossessivi e coattivi di questo erano ad un tempo la parte motoria dei suoi pensieri, delle sue emozioni, del suo desiderio ed il segno/ simbolo della sua incapacità/impossibilità ad essere ed esistere in quanto essere vivente. La sua salute era nel figlio; nel figlio albergava la sua impotenza/malattia. Il loro legame era ancora ed unicamente genetico, legato alla razza (temeva che il figlio avesse ereditato la sua malattia, anche lei cominciò a sentirsi male a 17 anni!). In quanto tale lo sospettava indissolubile. I rituali ossessivi e la coazioni erano – al contrario – per il figlio la parte motoria dei suoi pensieri, i suoi tentativi di attuare una separazione; Maria non lo percepiva, desiderava solo che il figlio stesse “fermo” (che non nascesse); non riusciva per lui a percepire fino in fondo una esistenza diversa da sé. Nel figlio perpetuava la sua incapacità ad una esistenza diversa, che non fosse genealogicamente derivata (nella mania, la sua salute era legata alla pre-esistenza genealogica di una condizione di nobiltà; la depressione rappresentava la negazione di questa possibilità e quindi della sua esistenza, autonoma; la condizione depressiva aveva il significato di una lunga – eterna e senza tempo – attesa del ritorno alle origini della razza).
Ci sembra di poter concludere proponendo la nostra opinione in tema di comprensione del mondo maniacale e, di conseguenza, del mondo depressivo. Nei casi estremi di mania e di depressione ci sembra di individuare un unico difetto strutturale legato alla impossibilità di armonizzare ed attualizzare il passaggio dal tempo astorico (atemporale), circolare e lineare fisiologico e non scandito a quello storico (temporale), vettoriale e sequenziale scandito dai ritmi biologici e mentali-noetici.
Su queste basi torniamo alle fantasie psicopatologiche sulla nascita, sulla dimensione narcisistica, sulla onnipotenza megalomanica e narcisistica. II nascere ha il significato di acquisire una temporalità storica ed umana (finita) a partire da una non-nascita, caratterizzata da una temporalità narcisistica, atemporale ed onnipotente (infinita). Il rapporto fra dimensione narcisistica, onnipotente, melagomanica e nichilistica, e angoscia della temporalità è ben esplicitato dal Grumberger (riportato da Muscatello C.F. e coll.): “Gli sviluppi del narcisismo sono correlati alla vita istintuale prenatale… Il feto sembra vivere in un universo riempito unicamente dalla sua presenza, tanto megalomanica quanto immateriale, in cui è confuso con la sua stessa felicità. Ne conserverà una impronta definitiva che gli fornisce la matrice sulla quale si struttureranno le sue particolarità specifiche che assumeranno in seguito la forma di stati e di affetti, come il sentimento di unicità, l’amore di sé, la megalomania, l’onnipotenza, l’immortalità…”.
La nascita ha il significato primario di entrare nel tempo. Il significato primario del narcisismo (che vediamo come patologia della nascita) è il “desiderio” di non essere mai nati e, quindi, di esistere da sempre e/o per sempre. All’interno di questa cornice (frame), riusciamo a comprendere il mondo maniacale e depressivo ed i suoi rapporti – fenomenici e nosografici – con l’area della schizofrenia e della paranoia, senza che con queste possano confondersi.
Ma – crediamo – non riusciamo a comprendere dando senso e significato al disturbo della temporalizzazione, e quindi dell’esser in e con il mondo, la mania e la depressione, se non viene affrontato un altro aspetto che, a parer nostro, fa parte del loro mondo costitutivo. È quello del romanzo familiare, che si concretizza nelle psicosi più destrutturate, nei deliri paranoicali a tema genealogico e di autogenerazione (con un rimando automatico al mito dell’androgino di genere neutro – da neuter = né l’uno né l’altro, immortale – da Green, riportato da Muscatello C.F. e coll.) e della Fenice, che si eternizza, immortale, risorgendo dalle proprie ceneri.
Nei due casi presentati, si ripropone – a parer nostro – il problema della filiazione, e quindi della scansione generazionale che si esprime nella sequenza biologica nascita-filiazione-morte. Nel concetto di filiazione narcisistica di Guyotat (citato da Muscatello e coll.) si esprime un fantasma di filiazione atemporale senza filiazione; “In esso – scrive C.F. Muscatello – si può intravedere un dispositivo immaginario primordiale teso soprattutto a scavalcare le angosce di morte implicite nella scansione temporale delle generazioni,..”. Crediamo che in questa condizione la nascita del biologico-mentale non sia mai avvenuta, solo il biologico-materiale è di fronte a noi e quindi nel mondo dell’esistere. Non è questa – crediamo – la condizione del maniaco e del depresso; è altro, ma con questa ha rapporti, almeno di contiguità.
Nei due casi presentati si ripropone il tema del rapporto della madre con il figlio e del figlio con la madre. In entrambi i casi la madre ed il figlio sono altro da sé, ma nello stesso tempo sono parte di sé, anche se le distanze non sono fusionali. Nelle loro fantasie fantasmatiche, madre e figlio sono legate da un filo sottile, la generazione e non la filiazione, in cui passato, presente e futuro esistono, ma non hanno le scansioni ed i ritmi – vettoriali -del tempo storico, biologico ed individuale. La nascita – crediamo – è avvenuta, ma il bambino non si è svezzato. È questo – in ipotesi – il difetto della costituzione che troviamo nella mania e nella depressione. Mania e depressione (come entità cliniche e nosografiche) si distinguono, ma l’una non può esistere senza l’altra; le loro esistenze sono inscindibilmente legate; l’esistenza dell’una comporta – inevitabilmente – l’esistenza dell’altra. La mania annulla l’esistenza della depressione attraverso la sua persistenza, eterna (mania cronica); ed analogamente avviene per la depressione (depressione cronica). Mania cronica e depressione cronica non sono costituzioni tipologiche, sono un tentativo, nelle due polarità, di autoterapia, ultimo e disperato tentativo dell’uomo, nato, di mantenere – senza rinnegarla – una esistenza biologica, al massimo simile alle proprie origini generazionali (prenatali, nell’immaginario), fantasticate come salute (eterna, nel tempo senza tempo).
Riassunto
Gli autori discutono in ottica clinico-psicopatologica, il problema della autonomia nosografica e psicopatologica della mania, rispetto ad altre forme di psicosi affettive. In particolare, viene discusso il rapporto esistente fra mania e spettro schizofrenico. Gli autori ripropongono cercandone una maggiore chiarificazione sulla base della loro efficienza clinica, l’opinione che la mania rappresenta una modalità di manifestazione di un unico difetto strutturale comune a tutti i disturbi affettivi, legato ad una mancata o imperfetta percezione del tempo vissuto. Viene proposto come momento fondamentale della costituzione maniacale e depressiva un difetto nella costruzione del tempo storico a partire da quello astorico. La nascita viene individuata come momento costitutivo del tempo storico. I rapporti esistenti con la dimensione narcisistica prenatale vengono discussi, riportando alcuni casi clinici.
Summary
The authors discuss from a clinical-psychopathological view the problem of the nosographic and psychopathological autonomy of mania in relation to other forms of affective psychosis. In particular they discuss the relation between mania and spectrum schizophrenia. In order to arrive at the greatest possible clarity, the authors suggest that mania represents a type of appearance of a singular structural defect which all affective disorders have in commune and is linked to a missing or imperfect perception or real time. In addition, the authors propose that there is a defect in the construction of historical time from ahistorical time, and this defect is a fundamental moment in the constitution of mania and depression. Historical time begins with birth. The relations in the prenatal narcissistic dimension are discussed with reference to clinical cases.
Résumé
Les auteurs examinent d’un point de vue clinico-psychopathologique le problème de l’autonomie nosographique et psychopathologique de la manie par rapport à d’autres formes de psychoses affectives. On aborde tout particulièrement le rapport qui lie la manie au spectre de la schizophrènie. Les auteurs proposent à nouveau, tout en cherchant une plus grande clarification à travers leur expérience clinique, l’opinion que la manie représent une modalité de manifestation d’un défaut structurel unique et comun à tous les troubles affectifs, lié à une perception du temps vécu. On propose comme moment fondamental de la constitution maniacale et dépressive un défaut dans la construction du temps historique à partir du temps non historique. La naissance est considérée comme moment constitutif du temps historique. Les rapports existant avec la dimension narcissique prénatale sont abordés au travers de cas cliniques.
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