La Pastiera di grano


Di fronte alla pastiera di grano qualsiasi altro dolce rischia di passare in secondo piano. Uno dei dolci più difficili da preparare, di cui non si riesce a trovare la ricetta giusta, originale: ogni famiglia custodisce gelosamente una sua ricetta. E ovviamente, ci sono varie leggende che ne possono spiegare la nascita.

Esiste una prima leggenda pagana sulla nascita della Pastiera. Nella notte dei tempi, in età greco-romana, la sirena Partenope aveva scelto come sua residenza il golfo di Napoli, e da qui lei regalava al mondo il suo canto melodioso e dolcissimo.

Per ringraziarla, la popolazione celebrava un misterioso culto, durante il quale portava alla sirena sette doni: la farina, simbolo di ricchezza; la ricotta, simbolo di abbondanza; le uova, che richiamano la fertilità; il grano cotto nel latte, a simboleggiare la fusione di regno animale e vegetale; i fiori d’arancio (o di altri agrumi, visto che la diffusione delle arance in quell’epoca era molto limitato in Europa) come profumo della terra campana; le spezie, omaggio di tutti i popoli; e lo zucchero, per celebrare la dolcezza del canto della sirena. Partenope gradì particolarmente questi doni, li mescolò, e creò questo dolce unico.

Un altro mito è legato alla vita dei pescatori. Le mogli di questi lasciavano sulla spiaggia cesti piene di ricotta, frutta candita, grano, uova e fiori d’arancio come offerta al Mare affinché consentisse ai loro uomini di tornare sani e salvi a casa. Ma durante la notte le onde del mare mischiarono tutti questi prodotti e crearono la pastiera, che il giorno dopo le mogli trovarono già pronta nelle ceste. Il mare fece così un doppio regalo: il ritorno dei mariti sani e salvi ed un dolce straordinario.

Un dato storico abbastanza sicuro ci racconta che, per celebrare il ritorno della primavera, le sacerdotesse di Cerere portassero in processione l’uovo, simbolo della vita nascente poi diventato “rinascita” e Resurrezione con il cristianesimo. Il grano o il farro, misto alla morbida crema di ricotta, potrebbe derivare dal pane di farro delle nozze romane.

Un’altra ipotesi fa invece risalire la pastiera alle focacce rituali dell’epoca di Costantino, derivati dall’offerta di latte e miele che i catecumeni ricevevano durante il battesimo nella notte di Pasqua. Questi miti e notizie storiche, attestano il legame evidente tra gli antichi riti pagani e la celebrazione della primavera. Questi sono i miti riguardo le antenate “incerte” del dolce che noi conosciamo.

Ma a Napoli, la pastiera comincia la sua diffusione nel 1600, come ci viene attestato anche in quel capolavoro letterario di Giambattista Basile, “La Gatta Cenerentola”, ed infatti riportiamo i versi: “E, venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sottestate e le porpette? Dove li maccarune e graviuole? Tanto che ‘nce poteva magnare n’asserceto formato.» Questi versi ci raccontano anche la diffusione del casatiello (altro piatto tipicamente pasquale).

Con ogni probabilità, la pastiera vide la luce nel XVI secolo e come la maggior parte dei dolci napoletani nacque in un Convento, probabilmente quello di San Gregorio Armeno, sì proprio la strada dove si vendono i pastori del Presepe. Qui, un’ignota suora (ma forse non tanto ignota: si chiamava Maria Clotilde) volle preparare un dolce che potesse associare i simboli cristiani, con ingredienti come le uova, la ricotta e il grano, e le spezie provenienti dall’Asia e il profumo dei fiori d’arancio del giardino conventuale. Le suore furono a inventarla, mescolando gli ingredienti simbolo della Resurrezione con i fiori d’arancio del giardino conventuale.

Le suorine del Convento di San Gregorio Armeno diventarono così delle vere maestre nella preparazione delle pastiere, che poi regalavano alle famiglie aristocratiche della città. “Quando i servitori andavano a ritirarle per conto dei loro padroni – racconta la scrittrice e gastronomaLoredana Limone – dalla porta del convento che una monaca odorosa di millefiori apriva con circospezione, fuoriusciva una scia di profumo che s’insinuava nei vicoli intorno e, spandendosi nei bassi, dava consolazione alla povera gente per la quale quell’aroma paradisiaco era la testimonianza della presenza del Signore”.

La regina Maria Teresa D’Austria, consorte del goloso “re bomba” Ferdinando II di Borbone, aveva un carattere molto ombroso, era chiamata “la Regina che non ride mai”: eppure si lasciò sfuggire un sorriso dopo un morso alla beneamata pastiera. Ed il marito Ferdinando commentò: “Per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo”.

Non chiedete quale sia la vera ricetta della pastiera napoletana! È un dibattito senza fine! La ricetta classica prevede la preparazione di una frolla a base di farina, uova, strutto (o burro) e zucchero semolato da sistemare sul “ruoto”, la tipica tortiera in alluminio dai bordi lisci e leggermente svasati, alta 3-5 cm. Il “ruoto” più antico, però, consentiva di preparare pastiere più grandi visto che era alto addirittura 10 cm! Per il ripieno occorrono invece latte, zucchero, ricotta di pecora, chicchi di grano, burro, frutta candita, uova, vaniglia, vanillina, scorza d’arancia e di limone, acqua di fiori d’arancio e cannella in polvere. Il tutto da sormontare con le striscioline di frolla e poi da cuocer in forno, con spolverata di zucchero a velo finale.

Ma il grano deve essere precotto (oggi di gran lunga la soluzione più pratica)? oppure si devono utilizzare i“normali” chicchi di grano, messi a bagno in acqua tiepida per 3-5 giorni? In questo secondo caso, successivamente, il grano si farà cuocere insieme a latte, scorza di limone, zucchero, cannella, “un baccello di vaniglia” e un cucchiaino di burro chiarificato. La cottura durerà fino a quando il grano non avrà assorbito tutto il liquido. Alcune ricette preferiscono il grano frullato ai chicchi; altre, si dividono a metà: metà grano in chicchi e metà frullato. La cannella compare come ingrediente facoltativo.

Un altro dubbio nella preparazione riguarda la presenza o meno della crema pasticciera, così è nella versione della storica bottega Starace di piazza Municipio, in cui la ricotta non veniva unita alle uova ma a una raffinata crema pasticciera.

La tradizione (che in questi casi è legge, è dogma!) obbliga a preparare la pastiera il Giovedì Santo e a consumarla a Pasqua, per dar modo a tutti i sapori di amalgamarsi: la pastiera si deve “raffreddare”.

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