La Regina
Non c’è bisogno di specificare quale pietanza potrebbe essere definita la Regina della nostra cucina tradizionale: lo sappiamo tutti! Lo sa anche l’Unesco che l’ha dichiarata “Patrimonio dell’Umanità”. Eppure l’idea della pizza è estremamente semplice: si prendono farina, acqua e lievito e si prepara una pasta a forma di disco, e sopra si possono mettere gli ingredienti più vari, secondo la nostra fantasia, prima o dopo la cottura.
Probabilmente anche tutti avete notizia che la nascita ufficiale della pizza risale al 1889, quando il pizzaiolo più bravo di tutti, Raffaele Esposito, titolare della storica taverna napoletana “Pizzeria di Pietro e basta così”, dedicò alla Regina d’Italia, Margherita, la sua nuova pizza, che ricordava il tricolore: il verde del basilico, il bianco della mozzarella, ed il rosso del pomodoro. È il simbolo della cucina italiana nel mondo, è un simbolo dell’Italia.
In realtà ha una storia millenaria, che risale al Neolitico, databile al 3000 avanti Cristo, quando nel Medio Oriente, i primi agricoltori cominciarono a cuocere sulla pietra delle polente di cereali tostati e macinati o di pane azzimo fosse un buon modo per mangiare qualcosa di davvero gustoso e originale. Poi nell’antico Egitto è avvenuta l’invenzione del lievito; e con la lievitazione gli impasti di cereali schiacciati o macinati diventano, dopo la cottura, morbidi, leggeri, più gustosi e digeribili. E così si diffonde il pane. Ci sono stati ritrovamenti in Sardegna, che attestano la conoscenza del lievito.
Nell’antica Grecia, si preparavano dischi di pane chiamati plakous. Mentre, nella Roma Antica, si iniziò a utilizzare farine ottenute da vari cereali per cuocere dischi di pasta nel focolare domestico. Infatti, i contadini dell’antica Roma, inventano la farina, incrociando diversi tipi di farro (farina deriva proprio da “far”, che in latino vuol dire proprio farro), e impastano la farina di chicchi di frumento macinati con acqua, erbe aromatiche e sale. E poi pongono questa focaccia rotonda a cuocere sul focolare, al calore della cenere. Ma questo significa che i romani sono i primi ad aver cominciato ad utilizzare dei dischi di pane per preparare pietanze succulente: pizze più o meno rotonde, ma con gradi di parentela molto, molto lontani dalla pizza odierna. Una brutta notizia per i napoletani?
Nel VII dopo Cristo, i Longobardi introducono un nuovo vocabolo gotico-longobardo: “bizzo” (talvolta “pizzo”), in tedesco “bizzen” significa morso, o forse (questa è l’origine più accreditata secondo l’Oxford English Dictionary). L’altra ipotesi sull’etimologia del termine, riguarda il termine (napoletano) “pinsa”, derivato dal participio passato del verbo pinsere, che significherebbe “pestare”, “pigiare”. Tale termine poi sarebbe collegato al greco “pitta”.
La parola pizza compare la prima volta nel 997 d.C., in un testo latino proveniente dalla città di Gaeta. Poi, dopo l’anno mille, il termine “pizza” compare in un documento ufficiale del 1195 a Penne, in Abruzzo. Nel 1330, nella Curia Romana si parla di “pizis” e “pissas” riferendosi ad alcuni tipici prodotti da forno, tipici del centro-sud della penisola.
Nel 1535, il poeta e saggista Benedetto Di Falco, nella “Descrizione dei luoghi antichi di Napoli”, afferma che la “focaccia, in Napoletano è detta pizza”. A cavallo tra il 500 ed il 600 a Napoli, nasce si afferma la “Pizza Mastunicola”: il cui condimento prevedeva l’utilizzo di lardo, cigoli, formaggio di pecora, pepe e basilico. Perché questo nome Mastunicola? Possiamo darne due spiegazioni: una che proviene da un pizzaiolo Maestro Nicola, l’altra che si riferisce al basilico (in dialetto “vasunicola”). E poi dopo venne la “Pizza ai cicinielli”, cioè i bianchetti (i pesci piccoli).
Il passaggio successivo è dovuto all’introduzione dell’olio di oliva al posto dello strutto, ad opera delle popolazioni meridionali.
Per assistere alle nozze tra la pizza ed il pomodoro occorre attendere la metà del ‘700, quando i pizzaioli napoletani iniziarono a farne uso, abbandonando l’iniziale diffidenza. Mentre la mozzarella viene aggiunta solo nell’Ottocento.
Nel 1843, Dumas padre descrive in maniera particolareggiata la pizza, nel suo libricino “Il Corricolo”, basato su “scenette” napoletane, raccolte nel suo viaggio in Italia.
Già nel 1866, comunque, l’editore svizzero Francesco de Bourcard faceva menzione di come veniva preparata: «Le pizze più ordinarie, dette coll’aglio e l’oglio, han per condimento l’olio, e sopra vi si sparge, oltre il sale, l’origano e spicchi d’aglio trinciati minutamente. Altre sono coperte di formaggio grattugiato e condite con lo strutto, e allora vi si pone disopra qualche foglia di basilico. Alle prime spesso si aggiunge del pesce minuto; alle seconde delle sottili fette di muzzarella. Talora si fa uso di prosciutto affettato, di pomidoro, di arselle, etc. Talora ripiegando la pasta su sé stessa se ne forma quel che chiamasi calzone».
E concludiamo ritornando a Raffaele Esposito, l’inventore della Margherita. Lui aveva solo tre tipi di pizze: la Margherita, la Mastunicola, e un’altra con olio, origano, aglio e pomodoro (la marinara).
Nel 1984, è stata fondata l’Associazione Verace Pizza Napoletana, che ha stabilito regole molto specifiche per preparare un’autentica pizza napoletana. La pizza deve essere cucinata in un forno a legno, alla temperatura di 485 °C per non più di 60-90 secondi; che la base deve essere fatta a mano e non deve essere utilizzato il mattarello o comunque non è consentito l’utilizzo di mezzi meccanici per la sua preparazione (i pizzaioli fanno la forma della pizza con le loro mani facendola “girare” con le loro dita) e che la pizza non deve superare i 35 cm di diametro o essere spessa più di un terzo di centimetro al centro.
Permettete di aggiungere un’ultima cosa! La pizza oramai è diffusa in tutto il mondo: ci sono catene di Fast-Food che la producono in ogni dove. Sulla pizza ci si mette di tutto, la fantasia non ha più freni. Ma alcune cose sono inaccettabili: le fragole e l’ananas no! Queste sono bestemmie!