Maestri di storie
Un professore di liceo, uno dei Maestri che si incontrano durante la nostra vita, raccontava che la storia di ciascuno di noi non è solo la semplice raccolta di eventi e accadimenti della vita ma è la somma di tutte le esperienze emotive, affettive e di amore che giungono fino ad oggi, nel presente. Tali considerazioni sembrano semplici e forse banali, ma allora in quel contesto, ai suoi studenti, giovani imprudenti, coraggiosi e spaventati, quelle affermazioni parvero illuminanti. Mai grati abbastanza dopo il conseguimento del diploma lo andarono a salutare. Alcuni erano orgogliosi, altri timorosi di comunicargli la scelta universitaria. Ad ognuno di loro disse parole di conforto, dei messaggi: “non potevi fare scelta migliore per te e per l’”Altro”, ma non dimenticare nemmeno un giorno di studiare; mai, per tutta la tua vita” mi disse.
E la storia della mia vita mi ha portato a oggi; dopo trent’anni di lavoro in psichiatria.
Il lavoro in psichiatria è fonte di dubbi, di emozioni, di speranze. L’unica certezza acquisita è che lavorare in psichiatria non è solo avere competenze. Le competenze sono senza alcun dubbio fondamentali; sono la base di ogni lavoro ma ancora di più per le professioni sanitarie. Vanno acquisite costantemente, mai tralasciate, attraverso uno studio costante, alla ricerca del miglioramento dell’approccio alla diagnosi, alla cura e all’assistenza. Più aumentano le conoscenze e più aumenta, tuttavia, la consapevolezza della propria ignoranza, il tormento del non sapere. È inevitabile. Per evitarlo bisognerebbe non studiare, non approfondire, non aumentare le competenze, ignorare. Potremmo concludere che molte persone non approfondiscono per non sentirsi ignoranti? Si fermano alle prime pagine di un libro, affermando di averlo studiato tutto; ne diventano esperti, iniziando a pontificare e a diffondere la “verità”. Cadono vittime del paradosso della conoscenza (vedi L’effetto Dunning-Kruger).
Gianrico Carofiglio nel suo libro “Della gentilezza e del coraggio” ne traccia in maniera definitiva e decisiva i tratti peculiari.
Lavorare in psichiatria è altro. Significa entrare in relazione con l’Altro, forse più che in altri settori della medicina. Accorgersi dell’Altro, dei suoi bisogni silenziosi, coglierne le emozioni, i desideri spesso annientati dalla storia psichiatrica. Questa è la bellezza della professione psichiatrica. Non è un aspetto filosofico, è professione. Che ti appaga quando si ruba un sorriso nell’ Altro. Non è una missione, non fa parte delle competenze, la missione appartiene alla religione. Ma è la storia che il gruppo di lavoro porta con sé. Non è stato facile affrontare gli eventi degli ultimi anni. Con la sensazione che uno tsunami potesse travolgere le nostre speranze e il nostro futuro. Ma ci siamo affidati a coloro che ci hanno ridato speranza, fiducia e certezze. Avete frignato, attaccato, vi siete avviliti, offesi e stancati e stancati e stancati. Ma l’atmosfera di affetto, di dedizione, di empatia, di passione, di comportamenti immediati, “senza pensarci”, di improvvisa unione dei momenti difficili è rimasta invariata. La nostra storia ci permette di capirci con uno sguardo, un gesto, un piccolo segnale, di intervenire insieme verso l’Altro, senza paura. Felici di far felici, con i piccoli gesti quotidiani, un saluto, una domanda: “ti serve qualcosa?, tutto “apposto”?, ti serve qualcosa?”; domande banali per la nostra quotidianità ma essenziali per lenire o accogliere la sofferenza dell’Altro. Sono domande che curano. L’Altro diventa te stesso. E quando gli risolvi il problema ne sei felice. Quando vedi il sorriso o la serenità nell’Altro, diventi felice. È la felicità. Non vuoi ricompensa, sai che non l’avrai, ma il solito cenno di sguardo, di gesti, di segnale di condivisione e ne sei felice.
È vero, le nuove procedure tecniche, le trasformazioni organizzative, le innovazioni diagnostico-terapeutiche sono fondamentali per fornire prestazioni sempre più mirate sulla persona. Ma perché perdere la storia, il know-how? Software, computer, nuove tecniche riabilitative sono fondamentali, sono aria nuova, sono ossigeno per la cura ma c’è dell’altro. C’è qualcosa che nessun corso di formazione, nessuna Laurea Magistrale potrà mai insegnare. È la storia di una vita. La cosa interessante e tranquillizzante, e a sua volta terapeutica, è che si può trasmettere. Ma i nuovi professionisti della salute, entusiasti, ricchi dei nuovi saperi devono aprirsi e percepire che farne parte, non potrà fare altro che arricchirli e acquisire gratuitamente competenze emotive e affettive che nessun corso di formazione potrà mai fornire. L’Amore verso l’Altro, accompagnato dalle competenze. Ma bisogna avere la mente aperta, bisogna essere con la mente aperta; la mente aperta va sollecitata. E di entrare in empatia.
Perché queste riflessioni. Per la paura che si perda questa storia. E per ringraziare i miei collaboratori; persone splendide che svolgono il proprio mestiere con l’Altro, in-sieme all’Altro, che entrano in empatia con l’Altro, che all’improvviso raccolgono le loro forze, spesso residuali, e insieme le moltiplicano per l’Altro. Spesso criticati, avviliti, amareggiati, stanchi, raccolgono le loro forze per l’Altro. Le raccolgono perché sanno come fare, hanno la storia di affetto, empatia e sofferenza. Sanno che bisogna fare così e basta. Bisogna che l’Altro stia bene, ora, poi si vede. Non perdiamo questo strumento di vita, questo valore. Un giorno racconterò gli eventi, descriverò gli episodi. Ora ho solo la voglia di ringraziarli. Probabilmente molti di loro non si rendono neppure conto di avere questo Valore, ma sono quelli che imparano. Ovviamente ci sono anche coloro che sanno già tutto, che non hanno bisogno di sapere oltre. E sono quelli come Carofiglio insegna, che pontificano di più; sono quelli a cui però fai un sorriso protettivo; hanno necessità di maggiore protezione. Non è colpa loro. Certo a volte ti fanno perdere la pazienza, ma li vuoi bene lo stesso. Semplicemente non sanno cosa si perdono.
Cari collaboratori e amici, probabilmente non vi rendete neppur conto di cosa siete riusciti a fare, non solo con gli strumenti professionali, ma soprattutto con l’Umanità dell’Uomo. Li avete protetti, avete costruito una bolla protettiva, siete dei vincenti. Non credo ai Professionisti della Salute come Eroi, non siete eroi, siete di più. L’atto eroico è un momento, un’azione rapida. Non è così per Voi. C’è un lavoro dietro, costante, storico che ha permesso di proteggere l’Altro.
Non perdiamo questa storia, non perdete questa storia. Avete un solo obbligo: insegnare la nostra e la vostra storia. Voi di questo siete Maestri.
c.a.s.r.
(di Francesco Franza)
