Molestie e perversioni morali e fisiche: la violenza sulle donne

Si celebra il 25 novembre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Il problema della violenza sulle donne impone la necessità di un intervento urgente e un notevole impegno da parte delle istituzioni politiche, giudiziarie, sanitarie e sociali.

Può essere importante conoscere cosa accade nella psicologia dei due protagonisti: vittima e aggressore. La conoscenza delle cosiddette “dinamiche psicologiche” permette, infatti, la identificazione delle diverse fasi che porteranno alla esplosione della violenza. Agire nelle fasi precoci di questo processo consentirà di bloccarlo e di evitare che la donna /vittima possa subire ingiurie e ferite morali e fisiche che la potrebbero portare alla conclusione definitiva.

Nel suo famoso e imperdibile libro “Molestie morali” la psichiatra e psicoanalista francese Marie-France Hirigoyen inizia il suo lavoro sottolineando che “il tutto comincia con una semplice mancanza di rispetto, con un po’ di falsità o con un accenno di manipolazione”. Inizialmente le minacce sono sottili, sottosoglia, larvate e a volte non facilmente identificabili perché mascherate da sarcasmo e ironia. La vittima non ha ancora la capacità di distinguerle e le considera semplicemente appartenenti al carattere dell’aggressore. Nel tentativo di trovare una giustificazione e di mantenere vivo il ricordo dell’atmosfera familiare, serena e protettiva, la vittima non reagisce.

Cerca di tacere e di non vedere che questo equilibrio pian piano si va sgretolando. “È fatto così, è stanco, è stressato dal lavoro”, confida alle amiche o ai propri familiari che si preoccupano di alcuni comportamenti ambigui o offensivi del partner.

L’aggressore non soddisfatto dalle risposte della vittima mette in atto comportamenti sempre più perversi con gravi conseguenze sulla salute psicofisica della vittima. Importante sottolineare che questo annientamento morale si può manifestare in famiglia, all’interno della coppia e in azienda.  In questo contesto la violenza viene spesso negata, sottovalutata o banalizzata. Si instaura, così, un’atmosfera di negatività quasi impalpabile, pervadente e di minaccia imminente che paralizza la vittima che man mano non avrà più la forza di difendersi.

Marie-Fance Hirigoyen ritiene che alla base di questo processo ci sia il carattere narcisista dell’aggressore che all’inizio non colpisce la donna-vittima frontalmente ma la illude, spesso, con attenzioni, condotte gentili, con regali, frasi “affettuose” o “affettate”. Tipiche affermazioni quali “amore”, “gioia mia”, “piccolina”, inducono nella vittima il dubbio di aver frainteso le parole e i comportamenti dell’aggressore. Nel sistema azienda tutto ciò induce a uno spietato proselitismo e condivisione del ruolo perverso dell’aggressore, cercandone l’approvazione e la ricompensa, ed evidenziandone il protettivo rifugio infantile dei componenti del gruppo.

Gli effetti del comportamento perverso quando avvengono all’interno del sistema famiglia (e/o di coppia) provocano considerevoli danni, spesso irreversibili; spezzano i legami affettivi ed emotivi e possono distruggere ogni individualità. La psiche della vittima viene così incatenata, spesso con le proprie catene. Mentre la vittima può percepire l’aspetto negativo di questa atmosfera e ne è consapevole, gli aggressori perversi sanno contraffare così bene la loro violenza da riuscire spesso a dare un’ottima immagine di sé. La vittima confusa e stanca arriva a credere in questa immagine positiva del suo carnefice. Cerca di trovare una spiegazione positiva a ciò le sta capitando.

Per convalidare le proprie condotte l’aggressore perverso utilizza altre persone per condividere i propri comportamenti con lo scopo malato di incrementare il processo discreditante verso la vittima. “Non sono solo io a dirti queste cose, ma anche gli altri. Ho ragione io. Se tu che stai sbagliando, sei tu ad essere stupida e cattiva”.

Il potenziale aggressore, per dimostrare il proprio potere, deve sedurre la vittima per imporre la sua influenza e il proprio comando, privando la vittima della propria libertà; impone il suo attacco violento portando la vittima alla incapacità di difendersi, che non comprende la gravità dell’attacco. Lo scopo è quello di eliminare qualsiasi possibilità di ribellione. La tattica dell’aggressore perverso è quella di agire in maniera seduttiva, ammaliante, non attacca mai frontalmente, si pone l’obiettivo di farsi ammirare, corteggiare e di concedere alla futura vittima il privilegio di essere un dono.

Si tratta, come sottolinea la Hirigoyen, della struttura narcistica del seduttore perverso che si fa ammirare ma che non si lascia coinvolgere emotivamente. La vittima ne è sedotta; non soltanto abbassa le proprie difese ma, soprattutto, non vede il comportamento per ora soltanto moralmente aggressivo.

L’incantesimo inizia a sgretolarsi

Quando la vittima si rende conto della aggressione morale del suo partner, inizia a opporre resistenza al condizionamento, inizia a pretendere un po’ di libertà. La vittima prende coscienza della propria schiavitù. La prima reazione del perverso narcisista è quella di mostrare odio apertamente, non ha più la necessità di nasconderlo; “sputa” sulla vittima sentenze sulla presunta mancanza di riconoscenza e di mancanza di rispetto. L’aggressore cerca di recuperare le posizioni che sta perdendo, in preda all’angoscia della perdita del controllo, del proprio possesso, probabilmente della propria “potenza”. 

“La violenza e la molestia sono frutto dell’incontro tra desiderio di potere e di perversità!”.

L’aggressore deve far tacere in tutti i modi la vittima, deve evitare assolutamente che esprima il proprio dissenso. Per ritornare allo stato iniziale aumenta il livello di aggressività verbale con discorsi pieni di ingiurie, di parole umilianti e svilenti. L‘odio, già presente nelle fasi iniziali del rapporto perverso, esplode insieme al desiderio di distruggere e di annullare per sempre l’oggetto che ha avuto il coraggio di opporsi al suo potere (corre il rischio di perdere la potenza/impotenza). L’escalation inevitabile è la violenza fisica che inizialmente rappresenta uno strumento per ricomporre il rapporto di dominio, ma che sfocia ai livelli estremi e drammatici nell’uccisione della vittima. L’aggressore perverso ha raggiunto la soluzione finale della vittoria, della cancellazione della vittima. La diffusione del ruolo narcisitico dell’individuo nella società attuale, dove conta l’immagine a discapito dei contenuti può spiegare in parte l’aumento dei casi di femminicidio degli ultimi anni? La risposta ovviamente è complessa e richiedere studi approfonditi e multidisciplinari.

Nella fase di riconoscimento del proprio dolore la vittima è ancora disorientata. Proviene da un lungo periodo di sofferenza, in cui deve fare i conti con i sensi di colpa, con i pensieri di indegnità e di inettitudine per non aver capito subito a cosa stesse andando incontro. L’annichilamento del suo vissuto emotivo la costringe a difendersi e allo stesso tempo a difendere l’aggressore, a considerare se stessa come complice e responsabile della sua condizione. Il dubbio è ancora presente, non ha più gli strumenti, semmai li avesse avuti da una educazione precedente, per convincersi che è soltanto una vittima. Si ritiene responsabile di non aver compreso il “carattere” del proprio partner, in alcuni casi lo giustifica e cerca di trovare il “buono” che è in lui. Mentre fa queste valutazioni il perverso narcista continua la sua opera del recupero del potere. Si entra in una sorta di conflitto che porterà i protagonisti ad aumentare il livello di attacco e difesa, fino a sfociare nella aggressività.

In questa fase di consapevolezza frequenti sono gli episodi depressivi in cui la vittima esprime la propria sofferenza con una riduzione del tono dell’umore, la perdita del piacere in attività precedentemente ritenute piacevoli; frequenti sono le crisi di pianto, la sensazione di sentirsi senza speranza, affaticamento, problemi di sonno e pensieri suicidari. Tutti sintomi della depressione.

Questa è la fase in cui si può intercettare e aiutare la vittima.  Fondamentale è il ruolo degli amici, dei familiari, delle associazioni, delle strutture sociali per aiutarla a chiedere aiuto. In questa fase le figure professionali, non solo sanitarie, hanno il compito di creare una rete di difesa e di aiuto in cui sorreggere la vittima.

(di Francesco Franza)

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