Ricerca è… partecipazione

Il coinvolgimento attivo e partecipato dei pazienti negli studi sulla salute mentale è recente oggetto di riflessioni. Il loro coinvolgimento insieme a quello pubblico (il cosiddetto Patient and public involvement (PPI)) è stato definito nel Regno Unito “dall’ente di beneficenza a partecipazione pubblica del Regno Unito National Institute for Health and Care Research (NIHR) INVOLVE come “ricerca condotta ‘con’ o ‘da’ membri del pubblico piuttosto che ‘a’, ‘per’ o ‘su’ loro“.

Con questa riflessione inizia la “personal view” dell’articolo di Laura Richmond e dei sui collaboratori pubblicata nel numero di marzo 2023 di Lancet Psychiatry.


La ricercatrice del Mental Health Research Group, della Faculty of Biology, Medicine and Health, della University of Manchester identifica sei caratteristiche principali che beneficiano non solo sulla qualità della ricerca ma anche sulla partecipazione dei pazienti coinvolti nello studio.

Le caratteristiche individuate sono le seguenti:

  1. riformulare i ricordi dolorosi
  2. Riconoscere il valore
  3. Praticare la reciprocità
  4. Colmare le lacune
  5. Contrastare lo stigma
  6. Sfidare le narrazioni consolidate.

Per motivi di spazio ci soffermeremo sul primo e sul quinto punto, invitando il lettore ad approfondire l’argomento nell’articolo originale il cui link è riportato di seguito: https://www.thelancet.com/journals/lanpsy/article/PIIS2215-0366(22)00430-8/fulltext#%20

Gli autori affermano che “quando si conduce una ricerca è importante impegnarsi in maniera empatica con le modalità in cui il coinvolgimento viene vissuto dalle diverse persone”.


Riformulare ricordi dolorosi

Le persone coinvolte nella ricerca “descrivono, fanno riferimento, riflettono e rivisitano i momenti difficili e le esperienze dolorose della loro storia personale. Ciò costituisce un notevole lavoro emotivo” e di estremo valore per la ricerca.  Sono portate informazioni, storie, vissuti emotivi che necessitano di valutazione e di decisioni sulla opportunità di condividerle. La narrazione invita ad esprimere e metter giudizi personali che sono frutto dei fattori emotivi dell’osservatore. Coinvolgere il paziente sulla opportunità sull’utilizzo di queste informazioni è il punto di partenza di una ricerca etica. Non è omissione di informazioni ma tutela delle informazioni e garanzia della integrità piscologica della persona che partecipa allo studio.

Alcuni interventi utilizzati per valutare la storia del paziente, tuttavia, utilizzano la rievocazione delle sperienze dolorosi che consente al paziente di iniziare un cammino di elaborazione e di sollievo dall’esperienza dolorosa. Tra diverse tecniche va citata la Dignity Therapy, un intervento terapeutico che viene applicato anche in diversi disturbi psichiatrici.

Laura Richmond afferma, infatti che “Non sono sempre decisioni facili da prendere e possiamo trovarci a lottare per bilanciare privacy e divulgazione. Affrontare questi problemi è una delle più grandi sfide del coinvolgimento della ricerca, ma anche una delle maggiori opportunità.

Parlare apertamente di questi problemi e delle nostre esperienze di salute mentale ci ha permesso di legarci a un livello più profondo e di beneficiare del sostegno organico tra pari”.

Contrastare lo stigma

Uno dei principali problemi nel coinvolgimento dei pazienti nella ricerca è “lo stigma di aver partecipato a uno studio sulla salute mentale”. Il discorso diventa, così, molto ampio e molto doloroso.  E diventa ancora più doloroso quando lo stigma sulla salute mentale nasce proprio nelle strutture sanitarie. È esperienza quasi quotidiana assistere ad episodi di stigmatizzazione da parte degli operatori sanitari di strutture non psichiatriche verso persone affette da disturbo mentale. In molti casi tale stigmatizzazione si nasconde dietro una partecipazione “pietosa”, nel senso di pietà, non di compassione, di “affettuosità” affettata, condita da falso interesse e comunicazione “infantilizzata”. Gonfi di beato buonismo, alcuni operatori sanitari sono pronti a meravigliarsi quando si accorgono che il loro presunto atteggiamento benevolo nei confronti del disagio psichico viene accolto come inappropriato e fuori luogo. È una storia quotidiana che porta le persone affette da disturbi psichiatrici a nascondersi ed evitare la partecipazione alla ricerca e agli studi. Non è solo questione di privacy, ma soprattutto di “vergogna”.

Gli autori affermano che “possa esserci la sensazione pervasiva che le persone affette da disturbi di salute mentale siano intrinsecamente fragili o vulnerabili tali da rappresentare un rischio per se stesse o per il proprio lavoro”.

Conclusioni

Le conclusioni di queste riflessioni sul coinvolgimento attivo delle persone affette da disturbi psichiatrici nella ricerca sono, tuttavia, positive. Se ne inizia a parlare. Si iniziano a determinare i punti di riferimento necessari per una adeguata ricerca. Il coinvolgimento partecipato è una spinta dei professionisti che curano a riflettere sugli errori fatti finora. Spinge alla maggiore consapevolezza dell’esistenza di una malattia che deve esser studiata, diagnosticata e curata. Probabilmente i risultati positivi potranno spingere le persone che curano a cambiare la propria visione e il proprio orientamento culturale verso il disturbo psichiatrico. Non fosse altro perché può colpire tutti.


Bibliografia:

Solomita B, Franza F. Dignity-Therapy in Bipolar Disorder and Major Depression: An Observational Study in a Psychiatric Rehabilitation Center. Psychiatr Danub. 2022 Sep;34(Suppl 8):71-74. PMID: 36170706.

Franza F. The emotional and psychological burden of the “burnout” in families of psychiatric patients. Psychiatr Danub. 2019 Sep;31(Suppl 3):438-442. PMID: 31488768.

Lo stigma dei disturbi mentali gravi

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