Sull’origine della schizofrenia
- Psiche in pillole Schizofrenia Schizofrenie
- Francesco Franza
- Aprile 2, 2020
Nella sezione Reviews and overviews della rivista scientifica American Journal of Psychiatry è stato pubblicato l’articolo di René Khan, Department of Psychiatry and Behavioral Health System, Icahn School of Medicine at Mount Sinai, N.Y., USA, dal titolo On the Origins of Schizophrenia.
(Kahn RS. On the Origins of Schizophrenia. Am J Psychiatry 177:4, April 2020)
Quando ci poniamo domande sul significato “realmente” obiettivo e clinico dei risultati raggiunti sull’outcome della schizofrenia dalla introduzione della clorpromazina nel 1952, le risposte non possono che essere negative. Solo il 10% dei pazienti troverà un lavoro retribuito, l’aspettativa di vita è ridotta di almeno 15 anni, mentre la capacità di stabilire legami affetti stabili e duraturi e di avere una soddisfacente vita familiare è una rarità. Il problema non è l’efficacia degli antipsicotici che hanno avuto un elevato successo nel ridurre le psicosi, con almeno 2/3 di pazienti al primo episodio in remissione dopo 4-10 settimane di terapia antipsicotica e con 2/3 di remissioni dopo 1 anno di trattamento. Piuttosto tra le possibili ragioni ci possono essere l’interruzione della terapia, la non compliance terapeutica, ma soprattutto la focalizzazione erronea della terapia farmacologica in psichiatria sulla psicosi.
Già all’inizio del secolo scorso Kraepelin e poi Bleuler ritenevano che la psicosi non fosse l’aspetto nucleare della schizofrenia, considerando, invece, il declino cognitivo come la prima espressione, precedente all’esordio, della malattia.
[vedi Gerarchia dei sintomi schizofrenici]
Kraepelin riteneva che il disturbo iniziasse con un declino cognitivo, già evidente durante l’adolescenza. Questo declino cognitivo insieme a quello sociale precedeva la sintomatologia psicotica. Bleuler considerava i deliri e le allucinazioni come sintomi accessori o di secondo rango, mentre alla base della schizofrenia erano presenti i disturbi della sfera affettiva, cognitiva (pensiero associativo), dell’interazione sociale (autismo) e della volizione (ambivalenza). Il successivo sviluppo farmacologico ha, invece, spostato l’attenzione sulla centralità della componente psicotica determinando un impoverimento e una focalizzazione della ricerca e dei risultati ottienuti sul reale outcome della malattia.
Declino cognitivo nell’adolescenza: rinnovata attenzione per un’osservazione secolare

Valorizzando le descrizioni di Kraepelin, la ricerca moderna ha confermato che i primi sintomi della malattia si manifestano almeno una decade prima della comparsa della sintomatologia produttiva. Tra i diversi disturbi psichiatrici, un basso QI come marker premorboso della malattia sembra essere specifico per la schizofrenia e non per altri disturbi così come il disturbo bipolare, come evidente anche dagli studi sulla performance scolastica di ragazzi che svilupperanno la schizofrenia successivamente [Dati del Israeli draft board]. Alcuni studi [Reichenberg A et al. 2010; Mollon J et al., 2018] hanno evidenziato un una possibile evidenza di ridotte performance cognitive non solo all’età di 8-13 anni, ma addirittura all’età di 4 – 8 anni. Quindi, alterazioni della funzione cognitiva sono già presenti molti anni prima dell’esordio della malattia e solo in alcuni futuri pazienti schizofrenici.
Funzione cognitiva ridotta precede l’inizio della psicosi
La schizofrenia, quindi, si manifesta molti anni prima della comparsa della sintomatologia psicotica. Lo studio e la presenza di un complesso sintomatologico che precede la comparsa della schizofrenia hanno assunto nomenclature e acronimi diversi. In particolare, si evidenziano:
- Stato mentale ad alto rischio [at-risk mental state (ARMS)]
- ultra high risk (UHR),
- elevato rischio clinico [clinical high risk (CHR)]
Tutti hanno in comune la presenza di sintomi psicotici attenuati con la “conversione” o “transizione” verso la psicosi completa – non necessariamente schizofrenia. Uno degli aspetti più problematici, ma anche più interessante, è associato al concetto di CHR è la presenza di una sintomatologia subsindromica durante il periodo di transizione nel 15% dei soggetti.
Alterata maturazione cerebrale che precede l’esordio della psicosi
È stat confermato da diversi studi che hanno esaminato la struttura cerebrale nella schizofrenia che il declino cognitivo inizia nella adolescenza, e anche prima. Si segnala, per approfondimento, lo studio di Johnstone et al. (1976) in cui è stata evidenziata per la prima volta una riduzione del volume cerebrale attraverso immagini TC. Studi successivi, con la MRI non hanno però chiarito il periodo della vita in cui tale riduzione diventa evidente. È, tuttavia, molto affascinate l’evidenza che il processo che porterà alla riduzione del volume cerebrale inizia molto tempo prima dell’esordio della psicosi. Questa conclusione si basa su una variabile semplice ma spesso trascurata: il volume intracranico (ICV) o più semplicemente la dimensione cranica.
L’ICV è una misura affidabile che spesso non viene valutata negli studi di neuroimaging sulla schizofrenia. È, tuttavia, rilevante perché l’ìICV riflette direttamente la crescita del cervello, poiché la crescita cranica è guidata dall’espansione del cervello. Un ICV più piccolo nei pazienti schizofrenici rispetto ai soggetti normali dovrebbe essere dovuto a una stentata crescita cerebrale. Il risultato di una metanalisi di Haijma SV et al. (2013) effettuata su 18000 soggetti affetti da schizofrenia ha evidenziato una piccola (d=0.2) ma altamente significativa riduzione dell’ICV.
Un nuovo metodo capace di studiare lo sviluppo cerebrale è il cosiddetto “brain-age gap”, definito come la differenza tra età cerebrale apparente e l’età cronologica. Precedenti articoli hanno suggerito che potrebbe essere un indicatore della salute del cervello, ma la maggior parte degli studi sono stati condotti su alcune centinaia di persone di età limitata e si sono concentrati su un singolo disturbo (per una review vedi Cole and Franke, 2017).
In uno studio condotto da Schnack et al., nel 2016 è stato osservato che l’età cerebrale era significativamente più alta (circa 3.6 anni) rispetto all’età cronologica nei pazienti schizofrenici. Dati confermati da altri studi (Chung et al., 2018). Sebbene i dati siano ancora scarsi, le evidente scientifiche disponibili affermano che una maturazione anormale del cervello che inizia prima della adolescenza sia associata allo sviluppo della schizofrenia.
Il cervello umano segue quindi un andamento tipico legato all’età che nei disturbi cerebrali si prolunga. Uno studio del gruppo di Kaufmann e Westlye ha dimostrato, utilizzando RMI in 45.615 individui di età compresa tra 3 e 96 anni, l’esistenza di modelli distinti di apparente invecchiamento cerebrale in diversi disturbi cerebrali e rivelato una pleiotropia genetica tra un apparente invecchiamento cerebrale in individui sani e comuni disturbi cerebrali. I ricercatori hanno scoperto che, in generale, i cervelli malati sembrano più vecchi di quelli sani, rivelando un divario tra la loro età prevista e quella cronologica. Tuttavia, questo “gap nell’età del cervello” ha mostrato modelli cerebrali regionali che unici per un determinato disturbo. Non solo i modelli di un invecchiamento accelerato erano correlati con punteggi funzionali più bassi, ma sembravano anche influenzati dalla genetica.
Anomalie cognitive e cerebrali e rischio genetico per la schizofrenia
Esistono evidenze scientifiche sempre più numerose che sottolineano che le variazioni del QI siano associate a variazioni (maturazione) nella corteccia, età dipendenti e che si presentano in maniera predominante all’inizio della pubertà. Sembra, inoltre, che i geni che incrementano il rischio dello sviluppo della schizofrenia possano portare a cambiamenti sia nel cervello sia dei processi cognitivi.
È stato stimato che le variazioni genetiche contribuiscono a circa l’85% del rischio di sviluppare la malattia [vedere lo studio di Kahn del 2015). È stato, inoltre, evidenziato che il volume cerebrale (nella misura del 90%) e l’intelligenza (80%) siano fortemente ereditabili.
Una parte del rischio genetico di sviluppare la schizofrenia può essere associato ad un alterato sviluppo iniziale del cervello con conseguenti deficit cognitivi. Le variazioni cerebrali sembrano essere espresse nello spessore corticale e nella integrità della sostanza bianca cerebrale.
Rete cerebrale e variazioni cognitive nella schizofrenia
La schizofrenia è stata considerata fin dalle prime definizioni come un disturbo della connettività cerebrale (Kraepelin, Bleuer). Diversi studi (2012-2013) hanno confortato l’ipotesi che la connettività della sostanza bianca sia alterata nella schizofrenia, soprattutto in quelle aree che formano l’hub (il centro) delle principali connessioni cerebrali. Facendo riferimento all’elevato numero di connessioni, quest’aree sono chiamate il “rich club”.
Per approfondire l’argomento si consiglia la lettura dei lavori di van den Heuvel MP e collaboratori (2012, 2013).
Queste reti, chiamate anche “connettoma” del cervello sono sotto controllo genetico (e si stanno già formando nel secondo trimestre di gravidanza.
Il “connectome” sembra essere associato all’intelligenza e importanti variazioni in questa importante rete di connessioni si manifesta durante l’inizio del periodo adolescenziale.
La corteccia cerebrale durante il periodo adolescenziale inizia a diventare più sottile, sotto il controllo genetico che controllo così lo sviluppo cognitivo del cervello. l’adolescenza è il periodo in cui le connessioni cerebrali diventano efficientemente organizzate e questo si manifesta soprattutto tra i 10 e 13 anni di vita.
E’ importante sottolineare che l’efficienza del connectome e la relazione tra l’intelligenza e l’efficienza della rete di connessione sono sotto il controllo genetico (rispettivamente il 47% e l’87%) [studi di Brouwer 2012] . Uno sviluppo alterato delle connessioni cerebrale nel periodo pre- e adolescenziale sembra possa predisporre allo sviluppo successivo della schizofrenia).

Uno sviluppo alterato della rete neuronale cerebrale sembra essere un plausibile candidato per il substrato neuroanatomico e funzionale delle variazioni cognitive che precedono lo sviluppo delle psicosi nella schizofrenia. Gli effetti delle alterazioni nel “rich club hub” sembra essere specifico per la schizofrenia in quanto non è stato riscontrato in altri disturbi psichiatrici, così come nel disturbo bipolare.
Alterazioni del “rich club hub” sono presenti nei “candidati” allo sviluppo della schizofrenia già prima dell’assunzione degli antipsicotici, e sono associati a disturbi cognitivi e del QI; tali alterazioni non sono presenti nel disturbo bipolare.
Interessanti sono gli studi di van den Heuval et al (2019) che hanno evidenziato che tali alterazioni non sono stati trovati negli scimpanzé, indicando una forte correlazione nei network cerebrali che presiedono alla comprensione semantica e al processamento del linguaggio.
Traslare vecchi indicatori verso nuove iniziative
E’ evidente, conclude l’autore che il declino cognitivo prima dello sviluppo della psicosi sia un importante marker se non addirittura un precursore della schizofrenia, con la possibilità che se identificato in tempo, e mettendo in atto un trattamento precoce si possa fermare il declino cognitivo e prevenire la psicosi.
2 Comments
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[…] scorso si riteneva che le psicosi, o meglio la schizofrenia, fossero disturbi neurodegenerativi. Emil Kraepelin (1856-1926) fu uno psichiatra e psicologo tedesco che formulò una descrizione di diversi quadri […]
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