Un inesorabile destino?
Deficit cognitivo e demenza nelle psicosi
All’inizio del secolo scorso si riteneva che le psicosi, tra cui la schizofrenia, fossero disturbi neurodegenerativi. Emil Kraepelin (1856-1926) fu uno psichiatra e psicologo tedesco che formulò una descrizione di diversi quadri clinici descritti in precedenza (la catatonia di Kahlbaum e la Demence Precoce di Morel) in una unica entità nosologica sotto il nome di “dementia praecox”.
Il declino cognitivo in questo gruppo di pazienti si credeva che avanzasse inesorabilmente verso la demenza.
Le successive ricerche hanno portato in tempi recenti allo sviluppo di teorie che sostengono il modello di disturbo del neurosviluppo. In questo caso un deficit premorboso si manifesta molto prima dell’esordio sintomatologico della schizofrenia. Tra le ipotesi proposte, le più significative sono il fenomeno del pruning nuronale e del meccanismo del connectome. Secondo queste ipotesi un alterato meccanismo di azione di questi processi naturali può essere alla base dello sviluppo successivo di una sintomatologia francamente psicotica.
Sempre più numerose sono, tuttavia, le evidenze scientifiche che sostengono che la schizofrenia e gli altri disturbi psicotici siano associati a un graduale ma inesorabile destino: il declino cognitivo successivo all’esordio dei sintomi. Le conseguenze finali sono la comparsa della demenza e l’ incremento della mortalità precoce di questi individui (Jonas et al. 2021).
Jonas K, Abi-Dargham A, Kotov R. Two Hypotheses on the High Incidence of Dementia in Psychotic Disorders. JAMA Psychiatry. 2021 Dec 1;78(12):1305-1306.
Frequenza del decadimento cognitivo nella schizofrenia
Una metaanalisi, condotta su 6 studi che hanno coinvolto 5.063.316 partecipanti (Cai & Huang, 2018) ha dimostrato che i pazienti affetti da schizofrenia, rispetto a soggetti non schizofrenici, hanno un rischio più elevato di sviluppare demenza e che l’indice RR (rischio relativo) è di 2.29 (95% CI 1.35–3.88). Cioè l’incidenza della demenza nella schizofrenia è:
2,3 volte maggiore che nella popolazione generale.
Invece, la mortalità dovuta alla demenza rispetto alla popolazione generale è
5,2 volte più comune nella schizofrenia.
Cai L, Huang J. Schizophrenia and risk of dementia: a meta-analysis study. Neuropsychiatr Dis Treat. 2018;14:2047-2055.
John A, McGregor J, Jones I, et al. Premature mortality among people with severe mental illness—new evidence from linked primary care data. Schizophr Res. 2018;199:154-162
Due ipotesi
Disfunzione metabolica
Esposizione a lungo termine di antipsicotici
PRIMA IPOTESI
La disfunzione metabolica può portare a una demenza precoce:
- Sindrome metabolica
- Obesità
- Dislipidemia
- Ipertensione
- la conseguenza è l’ Aterosclerosi:
- Restringimento arterie
- Rischio aumentato di ischemia e ictus
- Restringimento arterie
Nella popolazione generale la sindrome metabolica predice la demenza.
Nei disturbi psichiatrici:
Circa il 50% | obesità |
32% | dislipidemia |
39% | ipertensione |
L’uso di antipsicotici aumenta il rischio di 8 volte di sindrome metabolica perché gli antipsicotici alterano il rilascio dell’insulina e del glucagone.
Vancampfort D, Stubbs B, Mitchell AJ, et al. Risk of metabolic syndrome and its components in people with schizophrenia and related psychotic disorders, bipolar disorder and major depressive disorder: a systematic review and meta-analysis. World Psychiatry. 2015;14(3):339-347
SECONDA IPOTESI
Uno studio condotto da Takeuchi e collaboratori (2013) ha evidenziato un miglioramento del deficit cognitivo nella schizofrenia quando il dosaggio degli antipsicotici veniva ridotto.
Gli antipsicotici possono contribuire allo sviluppo della demenza attraverso la neuromodulazione e la degenerazione del circuito dopaminergico mesocorticale:
lo stesso circuito coinvolto nel declino cognitivo nella demenza e nel M. di Parkinson
Takeuchi H, Suzuki T, Remington G, et al. Effects of risperidone and olanzapine dose reduction on cognitive function in stable patients with schizophrenia: an open-label, randomized, controlled, pilot study. Schizophr Bull. 2013;39(5):993-998.
Lo spettro schizofrenico è associato:
- Iperattività dopamina nello striatum
- Ipoattività dopamina nella restante parte del cervello.
Gli antipsicotici riducono l’attività dei recettori D2 nello striatum ed esacerbano l’ipoattività nella corteccia prefrontale. A lungo termine possono compromettere la sopravvivenza neuronale di questo circuito.
Uno studio di Voineskos et al (2020), effettuato nella depressione psicotica ha trovato che gli antipsicotici causano diradamento corticale e un declino della sostanza grigia corticale.
Voineskos AN, Mulsant BH, Dickie EW, et al. Effects of antipsychotic medication on brain structure in patients with major depressive disorder and psychotic features: neuroimaging findings in the context of a randomized placebo-controlled clinical trial. JAMA Psychiatry. 2020;77(7):674-683
Alcune evidenze associano la perdita della sostanza grigia corticale alla occupazione dei recettori D2 da parte dei farmaci antipsicotici.
La perdita corticale è associata, a sua volta, al declino cognitivo della schizofrenia.
Inoltre, gli antipsicotici possono essere associati al decadimento cognitivo a causa dei loro effetti anticolinergici. Gli anticolinergici raddoppiano il rischio di demenza nella popolazione generale.
Le due ipotesi si integrano.
Queste due ipotesi non sono esclusive ma possono interagire mediante un modello integrato in cui la funzione cognitiva deficitaria è il punto di partenza di una traiettoria verso la demenza, procedendo mediante la sindrome metabolica verso un disturbo cerebrovascolare.
Gli antipsicotici agiscono su questa via sia indirettamente, attraverso gli effetti sul circuito cardiovascolare, sia direttamente, attraverso il diradamento corticale.
Nessuno studio, tuttavia, ha analizzato questa spiegazione. Inoltre, le ricerche esistenti si sono focalizzate su pazienti reclutati durante il primo episodio psicotico, quando no hanno demenza, o su pazienti che sono stati reclutati quando erano più vecchi, e quindi sono stati esclusi i pazienti che migliorano, che sono morti o che non si hanno più notizie, e che non possono essre confusi con gli effetti collaterali che si manifestano nel corso degli anni.
L’attenzione esclusiva agli studi trasversali sui disturbi psicotici in fase iniziale potrebbe lasciarci mal equipaggiati per aiutare questi pazienti nella tarda età adulta.
Gli studi longitudinali a lungo termine sulle coorti del primo episodio che utilizzano biomarcatori post-mortem, neuroimaging e basati sul sangue saranno fondamentali per comprendere la demenza nei disturbi psicotici.
Le prove attuali indicano che la schizofrenia non è solo un disturbo dello sviluppo neurologico, ma anche neurodegenerativo. La ricerca e una strategia di sanità pubblica per prevenire la demenza prematura nei disturbi psicotici sono assolutamente necessarie.